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Più green (e meno Cina). Così la Germania vuole ripartire

Che la Germania potesse rappresentare la punta di lancia della rivoluzione energetica e digitale nel continente era chiaro quasi a tutti gli addetti ai lavori. Tuttavia, la pandemia sembrava potesse tarpare le ali all’implementazione dei suoi obiettivi di sviluppo sostenibile, dal momento che l’incipiente crisi economica avrebbe quasi per certo spostato le priorità, perlomeno nel breve periodo, nell’affrontare il rilancio della produzione industriale.

Ora che Angela Merkel ha presentato il suo piano, annunciato mercoledì scorso, per il rilancio dell’economia tedesca un passo avanti in direzione di un futuro più sostenibile e “verde” sembra essere stato tracciato. Un annuncio che risuona roboante soprattutto se è la stessa Cancelliera a schierarsi apertamente contro gli interessi della tradizionale lobby dell’automobile teutonica.

La coalizione guidata da Merkel ha infatti approvato un piano di stimoli da 130 miliardi di euro volto a sostenere i consumi e a rilanciare gli investimenti. Un piano che secondo le ultime previsioni della Bundesbank riuscirà a rilanciare l’economia tedesca con un recupero del 3.2% nel 2021 dopo la prevista contrazione di quest’anno. Ma come ha sottolineato la Cancelliera nella conferenza stampa, l’attuale congiuntura non va letta solo e soltanto come il contesto per una risposta “tradizionale” alla crisi, ma anche come un’opportunità da cogliere con “uno sguardo al futuro”. Come riporta Bloomberg, sarebbero incluse infatti misure per stimolare i data networks del 5G, migliorare le infrastrutture della rete ferroviaria ma soprattutto duplicare gli incentivi per i veicoli elettrici.

Seguendo l’esempio del Presidente Macron, che ha recentemente promesso di sostenere l’industria automobilistica francese e di “fare della Francia il produttore leader di veicoli puliti in Europa”, la Germania ha così lanciato la sua iniziativa: il piano prevede di duplicare i sussidi per le auto elettriche, abbassare la tassa sul valore aggiunto dal 19% al 16% e rigettare le richieste dell’automotive di sovvenzionare i motori a combustione interna. Come riporta Reuters, seppur le immatricolazioni di auto elettriche nel 2019 contassero solo il 1,8%, il Federal Office for Economic and Export (Bafa) tedesco ritiene che elegibili per il sussidio potranno essere vari modelli, incluse la BMW i3, la Hyundai Ioniq e Kona, la E-Nero Kia, la Peugeot elettrica 208, la Renault Zoe e ovviamente il Model 3 di Tesla.

Dunque, la Germania si appresta a diventare il secondo Paese ad utilizzare il piano di aiuti per stimolare l’industria delle auto elettriche. Una mossa che è stata ben accolta dai Verdi, i quali auspicano il rafforzamento di un settore che ben si allinea con le ambizioni della Commissione Europea di portare le emissioni nette a zero entro il 2050. “Questo è esattamente quello che serve per supportare il lavoro e aiutarci ad emergere più forti e verdi dalla crisi del Covid-19”, ha dichiarato Stef Cornelis, rappresentante tedesco dell’Ong Transport & Environment.

Due appaiono le possibili problematiche. Dapprima le resistenze interne. La policy del governo, infatti, è risultata indigesta per il settore tradizionale, che ha patito un brusco calo delle vendite e che si aspetta ulteriori tasse sulle emissioni a partire dal gennaio 2021.

L’associazione dell’industria automobilistica tedesca (VDA), che rappresenta gli interessi di Volkswagen, Daimler e BMW, ha fortemente criticato la decisione del governo con le parole di Hildegard Muller in una dichiarazione rilasciata giovedì, rammaricandosi che “il piano di stimolo” includesse “solo parzialmente le proposte dell’industria automobilistica per un ampio e immediato impulso economico”.

Questo alla luce di una tremenda crisi del settore, dal momento che la produzione di automobili è calata a livelli mai visti dal 1975. Come sentenzia il presidente della German Federation for Motor Trades Jurgen Karpinski sulle pagine del Financial Times, il pacchetto di aiuti previsto dal governo “ha arrecato un grave danno” ad un settore in crisi che conta attualmente 40.000 imprese e 1.3 milioni di impiegati.

La seconda, invece, concerne il rifornimento di materie prime essenziali per lo sviluppo dell’industria delle auto elettriche. Come rileva uno degli ultimi EU Critical Raw Material Report, l’Europa (così come la Germania, da tempo principale promotrice di una low-carbon economy) rimangono fortemente dipendenti dalla Cina per l’importazione delle terre rare. In particolare, nell’approvvigionamento di praseodimio e neodimio, cruciali per la produzione di magneti che sono componenti chiave nei motori elettrici.

Per affrancarsi da Pechino, la Germania ha promosso nell’ultimo decennio una serie di iniziative market-oriented e lasciato alle sue aziende mano libera sulla questione. Ed è qui che oggi entra in gioco Schaeffler Technologies AG, azienda tedesca leader globale nella catena dell’automotive elettrica, forte di un fatturato di oltre 14 miliardi di euro nel solo 2019 e con oltre 87mila impiegati nel mondo. Per diversificare la supply chain, nel giugno dello scorso anno l’azienda aveva annunciato un Memorandum of Understanding con Hastings Technology Metals, compagnia australiana specializzata nell’estrazione e lavorazione di terre rare per la produzione di neomagneti (NdFeb). Ora che le negoziazioni sono andate in porto, l’accordo reso noto mercoledì prevede un contratto di forniture di 10 anni per cui l’azienda australiana si impegnerà a fornire la materia prima (mixed rare earth carbonate), estratta e processata nel complesso di Yangibana Project, nell’Australia occidentale, ricca di neodimio e praseodimio. Il tutto per “consentire a Schaeffler di sviluppare una supply chain indipendente per il suo e-motor business nell’emergente industria del veicolo elettrico”, come si legge in una nota della controparte australiana.

“Questo contratto rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo di Hastings come attore emergente nel rifornimento di terre rare dall’Australia alla Germania, una nazione industrializzata con una crescente richiesta per una materia prima critica in moltissime tecnologie avanzate” ha commentato Charles Lew, executive chairman di Hastings. L’accordo rappresenterebbe inoltre la base per un possibile coinvolgimento del governo tedesco nel supportare la produzione della miniera australiana (con la possibile negoziazione di un prestito da 400 milioni di dollari alla Northern Australia Infrastructure Facility) e futuri approfondimenti dell’accordo tra le due realtà in altri settori downstream nella lista dei prodotti di Schaeffler.

Si tratta sicuramente di un altro significativo esempio di come molti Paesi occidentali stiano avviando una serie di importanti collaborazioni per allentare la presa del Dragone su importanti filiere globali delle terre rare. Un segno che questa strategia “degli Stati Uniti e dei loro alleati stia iniziando a funzionare”, ha commentato Angus Grigg, corrispondente di Financial Review.

Che la Germania possa diventare un esempio da emulare? Se l’Europa vuole posizionarsi come attore guida nella transizione energetica, un primo passo per costruire catene del valore meno soggette al monopolio strategico di Pechino su questi minerali è ormai una questione da affrontare di petto. “Le industrie strategiche sono state il cuore del progetto europeo negli ultimi settant’anni” sostiene su Euractiv Anna-Michelle Asimakopoulou, membro del Parlamento Europeo e del Partito Popolare. “Robert Schuman aveva in origine concepito un’Europa ‘costruita attraverso conquiste concrete che creassero una solidarietà de facto’. La pandemia è un’opportunità per realizzare la visione di Schuman di unire le nazioni europee questa volta intorno all’obiettivo di un’autonomia strategica comune. Questo ci consentirebbe di riposizionarci come Unione e vero attore geopolitico”.


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