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Non dite al governo che Haftar si ritira (e si allea con Russia, Iran e Venezuela)

Il Wall Street Journal ha un insight interessante sul signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar. Il giornale americano rivela – attraverso funzionari americani, europei e libici – che il miliziano ribelle avrebbe avuto un ruolo da mediatore su traffici di petrolio di contrabbando tra Venezuela e Iran. Ossia, la materializzazione di due dei principali nemici degli Stati Uniti, parte dell’asse anti-americano composto da Russia (che aiuta il capo miliziano) e Cina.

Che la notizia sia diffusa dal Wsj è un elemento in più: il giornale economico-finanziario è tutt’altro che contrario all’amministrazione Trump, e l’uscita di certe informazioni segna di per sé un altro pezzetto del puzzle americano in ricomposizione dietro al governo Gna di Tripoli, e soprattutto contro il fronte plastico dietro Haftar.

In precedenza si era parlato della presenza sul campo di battaglia libico di alcuni siriani appartenenti a una formazioni di miliziani sciiti filo-iraniani – un’unità addestrata dai russi per sostenere il regime assadista, arrivata in Libia dopo uno spostamento su cui, secondo alcune fonti dalla Tripolitania, aveva avuto un ruolo anche Hezbollah (il partito-milizia libanese che gli Stati Uniti considerano una minaccia terroristica).

Il quadro alle spalle di Haftar si è già complicato – agli occhi americani – anche dopo la lettera che, l’8 maggio, il rappresentante israeliano alle Nazioni Unite ha inviato al segretario Onu e al Consiglio di Sicurezza in cui si legge che “a novembre 2019, sono emerse immagini di quattro sistemi iraniani di missili guidati anticarro Dehlaviyeh impiegati dalle milizie associate alle forze del generale Haftar in Libia”.

Quanto messo nero su bianco dall’ambasciatore Danny Danon riguardo la “presenza di questo avanzato sistema fabbricato dall’Iran sul suolo libico” non rappresenta solo una violazione dell’embargo Onu – che è costantemente bypassato anche dall’altro lato, dove la Turchia ha spedito miliziani siriani e armamenti tecnologici. Per Washington è una problematica strategica.

Il prolungamento della presenza iraniana sul punto più critico del quadrante mediterraneo è una preoccupazione per gli Usa, che hanno ingaggiato un confronto con Teheran proprio connesso alle interferenze armate con cui ha da tempo avviato la propria proiezione esterna nella regione mediorientale e oltre.

Non solo, perché per Haftar i problemi sono anche altri. Da oggi, giovedì 4 giugno, tutta l’area di Tripoli – compreso l’hinterland che si approfondisce dozzine di chilometri a sud – è sotto il pieno controllo dell’esercito libico. Sono passati 14 mesi di scontri e centinaia di morti.

Circolano diverse immagini che mostrano i mercenari ciadiani e sudanesi in ritirata da due avamposti haftariane tattiche in Tripolitania, Tarhuna e Bani Walid – hanno abbandonato anche diversi pezzi di equipaggiamento da alcune postazioni e la caduta completa è questione di ore.

Nella serata di mercoledì, le unità che rispondono al Gna – il Governo di accordo nazionale, come viene definito l’esecutivo tripolino dal piano di rappacificazione onusiano – sono entrate nell’aeroporto internazionale della capitale. L’area, semi-abbandonata, è stato uno degli avamposti per l’avanzata haftariana. Attualmente è infestato di mine, e pare – stando al Gna – l’Italia parteciperà allo sminamento (la ricostruzione è da tempo affidata al consorzio italiano Aeneas, ma la guerra ha impedito i lavori, su cui Agenzia Nova spiega dettagli).

Il vice premier libico, Ahmed Maiteeg, ha dichiarato che “nei prossimi giorni ci sarà una riduzione del livello dello scontro armato in Libia”. Parlando con i giornalisti nel corso della sua visita a Mosca ha spiegato che l’escalation militare calerà anche grazie agli sforzi del ministero degli Esteri russo, che Maiteeg ha incontrato ieri: “I russi ci hanno assicurato che non c’è una soluzione militare in Libia e che la soluzione è politica”.

La Russia è attualmente l’attore principale in Cirenaica, una postazione strategica che Mosca ha guadagnato per interessi nel quadrante che vanno oltre alle dinamiche guerresche di Haftar.


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