“La legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong è l’ultima finestra di opportunità: tutto il mondo democratico si unisca e con una voce sola dica no alle campagne di bullismo cinese. Il kowtowing al regime di molti — troppi — occidentali alimenta il mostro comunista che è già pronto per estendere i suoi artigli su Taiwan. Se non lo si ferma ora, sarà ancora più difficile farlo domani. Ma non si facciano illusioni: prima o poi andrà affrontato”.
Sono le parole con cui ci saluta Bonnie Leung, 33 anni, già consigliere distrettuale a Hong Kong e influente membro del Civil Human Rights Front, il fronte che dal 2003 organizza il famoso evento del 1° luglio — giornata che dovrebbe “celebrare” il passaggio di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina, ma che ha ovviamente assunta un’altra connotazione — e una delle forze trainanti dietro le manifestazioni di massa che nell’ultimo anno hanno mosso Hong Kong.
Bonnie Leung parla con Formiche.net il giorno dopo le dichiarazioni dell’Unione europea dopo la riunione dei 27 ministri degli Esteri e quelle del presidente statunitense Donald Trump. Dichiarazioni che erano molto attese a Hong Kong, perché il sostegno internazionale è un tassello fondamentale della strategia degli attivisti nel tentativo di fermare l’incombente pericolo sulla città.
“La proposta di una legge nazionale di sicurezza per Hong Kong imposta direttamente da Pechino, in contravvenzione all’articolo 23 della Legge fondamentale dell’isola e la Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984, ha sorpreso persino gli attivisti di Hong Kong, per la velocità con cui il Partito comunista si è mosso”, ci spiega Leung sottolineando come Sicuramente la pandemia del Covid-19 ha giocato un ruolo fondamentale anche se non va trascurato il nervosismo a Pechino circa le elezioni legislative a Hong Kong previste per settembre.
“Nonostante il principio ‘un Paese, due Sistemi’, il Partito comunista ha sempre cercato di mantenere un fermo controllo, imponendo un sistema elettorale che gli garantisce un risultato favorevole”, aggiunge. Infatti, a causa di quel sistema i partiti pan-democratici di Hong Kong, nonostante godano del sostegno della maggioranza della popolazione, sono sempre rimasti in minoranza all’interno del Consiglio legislativo, tradendo le aspirazioni democratiche del suo popolo. Ma secondo Leung le elezioni distrettuali dell’autunno scorso hanno dimostrato che per la prima volta tale esito garantito poteva essere ribaltato a settembre, aprendo uno scenario ritenuto da incubo dai vertici comunisti, a partire dalla propria legge sulla sicurezza nazionale che un Consiglio così composto potrebbe adottare sulla base dell’articolo 23. “Un attacco preventivo quindi che, se adottato e implementato in tempo, avrà delle conseguenze importanti per i candidati pan-democratici”.
“Sebbene il disegno della Legge non è ancora stato reso pubblico, a Hong Kong ci facciamo illusioni: sarà vizioso e spietato, con l’obiettivo di istillare un effetto agghiacciante nella popolazione e negli attivisti”, ci spiega. “È facilmente prevedibile che i discorsi e le azioni dei democratici dovranno essere adattati a questa nuova realtà, se vogliono evitare il rischio di persecuzione e possibile conseguente esclusione della corsa elettorale”.
Un effetto agghiacciante che già si fa sentire nella popolazione, aumentando quella perdita di fiducia nelle istituzioni e soprattutto nelle forze di polizia dopo gli scontri di giugno scorso. Una fiducia che prima non era diversa di quella nel mondo occidentale come ci racconta Leung: “Certamente vi erano stati incidenti e violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia anche in passato, come dappertutto nel mondo, ma era nelle aspettative della popolazione che tali violazioni venivano affrontate e punite. Da giugno dell’anno scorso, tale aspettativa non esiste più”.
Lei è sempre stata una attivista nonviolenta, attenta a rispettare le leggi e le ordinanze, sia come metodo di protezione personale, ma soprattutto per proteggere il movimento e evitare il caos nella città. Ma tale rispetto ormai non offre più nessuna garanzia legale, ci confessa. “La violenza della polizia non solo è indiscriminata, ma viene addirittura incoraggiata dalle istituzioni. I parametri per le manifestazioni vengono violati dalla polizia stessa, che utilizza mezzi di dispersione dei manifestanti che non fanno che esercitare il loro diritto a manifestare pacificamente nel quadro previsto dai permessi”.
Da agosto dell’anno scorso, gli arresti di massa così come la brutalità della polizia sono ormai regola, e lo show dell’arresto di quindici dei personaggi più noti della città — tra cui Martin Lee e Margaret Ng —, persone conosciute in tutto il mondo per le loro attività a favore della democrazia e dei diritti umani, “è un evidente indizio di quel tentativo di creare paura nella popolazione, con un singolo messaggio: nessuno è salvo”, racconta Leung.
“E ora, piuttosto che veder riconosciuto la loro richiesta per un’indagine indipendente nella brutalità delle forze di polizia, i cittadini di Hong Kong dovranno far fronte ad un’ulteriore erosione dei loro diritti in uno Stato ormai pienamente di polizia”. Infatti, se nonostante gli attacchi violenti della polizia nell’anno scorso ci sono state finora pochi vittime letali, “con l’annuncio della legge che Pechino vuole imporre e la conseguente possibilità dell’arrivo diretto in città di corpi di polizia cinesi o comunque in ogni caso il continuo incitamento alla violenza poliziesca da parte delle istituzioni, alla vigilia del 31° anniversario della strage di Tiananmen i timori per una strage crescono”.
Un anniversario che per la prima volta in trent’anni non potrà essere commemorato con una veglia a lume di candela a Victoria Park, ma al quale limite quel “fiume d’acqua” — come si definisce il movimento di Hong Kong, orgogliosamente senza leadership e al quale chiunque può contribuire —, ha già trovato rimedio: il 4 giugno la veglia si estenderà a tutta la città, e il mondo farebbe bene ad osservare con attenzione quel che accadrà.
Esiste però ancora una finestra d’opportunità: la legge sulla sicurezza nazionale di Pechino non è ancora stata varata, e nemmeno i suoi contenuti sono stati resi pubblici. L’Assemblea nazionale del popolo ha approvato la delega legislativa sulla questione al comitato del Partito Comunista. Si attende che la Commissione, che si riunisce nei mesi pari, adotterà il provvedimento comunque prima delle elezioni di settembre o nella sua sessione di giugno, o in quella di agosto.
Nell’assenza del testo, Bonnie Leung legge una possibilità per la comunità internazionale di poter ancora incidere sul suo contenuto e lancia un appello: “il mondo democratico si deve unire urgentemente e parlare con voce unica e ferma. L’annuncio di possibili misure e sanzioni da parte del presidente Trump indicano quello spazio di possibile negoziato con Pechino per far sì che la legge definitiva possa essere meno draconiana di quanto tutti a Hong Kong ad oggi si aspettano. Ma la divisione nel mondo occidentale sulla questione è di detrimento per tali sforzi”.
Leung vede nel mondo, e nell’Unione europea in particolare, ancora troppi sforzi di kowtowing al regime comunista di Pechino. Un piegarsi alla sua volontà nell’illusione di qualche beneficio economico e commerciale, coperta dall’illusione maggiore che tali interazioni possano portare persino a qualche cambiamento in senso democratico all’interno della Repubblica popolare.
Ma i cittadini di Hong Kong si sono già bruscamente svegliati dall’illusione che una relazione amichevole con la Repubblica popolare potesse veramente portare dei benefici. Ne abbiamo visto l’esempio durante questa pandemia. Mentre il mondo si è fidato dalle dichiarazioni cinesi, i cittadini di Hong Kong sapevano benissimo che non ci si può fidare delle loro promesse e dichiarazioni. Non hanno mai creduto al presunto contenimento del virus da parte del Partito comunista. E questa consapevolezza ha permesso ai cittadini di proteggere e salvare sé stessi.
“È una lezione che va appresa in fretta”, dice Leung: “in Italia, in Europa, e ovunque nel mondo. Ed è esattamente quel che il regime cinese non vuole che si sappia, ragione per cui censura i suoi dissidenti e vuole silenziare a tutti i costi i cittadini di Hong Kong. E proprio per questa ragione è nell’interesse del mondo intero difenderci”.
La sorte di Hong Kong non segnerà solo il destino dei suoi cittadini, e neanche di Taiwan sui quali Pechino sta puntando in modo sempre più apertamente aggressivo. Quanto accade lì non è altro che un presagio di quanto attende il numero crescente di Paesi nell’orbita cinese, aggiunge l’attivista. “I tentativi di kowtowing rafforzano e nutriscono quel mostro che prima o poi andrà affrontato. Basta piegarsi alla volontà del Partito comunista per qualche presunto beneficio economico che si trasforma sempre in puro bullismo nella loro spinta per un ordine mondiale basato sul loro modello repressivo. Bisogna essere consapevoli che più si cerchi di spostare in avanti quello scontro inevitabile, più sarà difficile combatterlo quando arriverà il momento”.