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Così la pandemia ha accelerato la digitalizzazione. Il commento di Di Franco (Atos)

Da pochi giorni gli utenti Android e iOS possono scaricare – ammesso che i loro sistemi operativi siano aggiornati – l’app “Immuni”, quella che consente attraverso il contract tracing, o geotracking, di avvertire gli utenti italiani qualora abbiano frequentato un’area che li ha esposti al rischio di contrarre il coronavirus SarsCoV-2. Si tratta di un sistema proattivo per controllare la diffusione del coronavirus responsabile della pandemia. 

L’applicazione, prodotta dalla milanese Bending Spoons, in Italia è arrivata – dopo una serie di discussioni, anche all’interno del governo – nella Fase 2 del confronto con l’epidemia, o come l’ha chiamata durante una conferenza stampa il premier Giuseppe Conte, quella di “convivenza con il virus”. Sebbene scaricabile ovunque, inizialmente (probabile fino a metà giugno) sarà pienamente funzionante soltanto in Liguria, Puglia, Abruzzo e Marche: quattro regioni scelte per la fase di sperimentazione.

Altrove sistemi simili sono stati usati fin dai primi giorni, quando nel pieno del picco epidemico sono stati parte dei meccanismi di contenimento tecnologici messi in atto da quelli che alla lunga si sono rivelati i Paesi più virtuosi nell’affrontare la pandemia, per esempio Taiwan (paradigma mondiale di best practice nonostante la politica aggressiva cinese abbia cercato di tenere Taipei isolata dalla condivisione diretta delle informazioni epidemiologiche) o ancora Singapore, Corea del Sud, Israele tra gli altri.

Perché i sistemi di tracciamento sono così importanti? E, soprattutto, pensando all’Italia: lo sono anche in questa fase dell’epidemia? “Tracciare significa raccogliere dati, avere dati significa poter prendere decisioni guidati dall’analisi degli stessi, non solo da intuizioni. E oggi abbiamo strumenti e tecnologia che permettono di farlo, di essere degli alleati per chi è chiamato a scelte importanti che influenzano la vita di un Paese, in ogni fase dell’epidemia e non solo. Non bisogna focalizzarsi solo su come raccogliere i dati, ma come renderli intelleggibili e disponibili, nel massimo rispetto della privacy e della sicurezza“, spiega Giuseppe Di Franco, Group Executive Vice President Atos, Global Head of Resources & Services e Ceo di Atos Italia 

Atos ha sviluppato e reso operativo già a inizio marzo il sistema di gestione dell’epidemia, EpiSYS, un super-software che archivia tutti i dati relativi al virus, da quelli dei pazienti a quelli relativi al tracciamento per la città di Vienna (che ha avuto solo 2024 casi e 96 vittime). “È diventata evidente l’importanza dell’utilizzo delle soluzioni digitali: rimanere in contatto con la famiglia e gli amici, mantenere le attività commerciali o aiutare quelle persone che stanno affrontando il Covid-19” ha spiegato Johann Martin Schachner, ceo di Atos Austria.

L’uso dell’ambiente digitale è considerato fondamentale per permettere ai governi di prendere decisioni strategiche: come le tecnologie sviluppate durante l’emergenza potranno essere implementate nel futuro? “L’emergenza ha accelerato il bisogno di trasformazione digitale. Quello che abbiamo costruito prima, è stato fondamentale in questa fase, altrimenti non avremmo potuto mettere in piedi in pochissimo tempo questi sistemi di risposta. E così ora sappiamo che quanto fatto in emergenza può diventare la base per il futuro, per essere preparati e ancora più veloci a reagire. La pandemia ci ha ricordato ancora una volta come siamo tutti interconnessi, le aziende private e quelle pubbliche, i cittadini e i Paesi: dobbiamo mettere a fattor comune i dati raccolti, renderli disponibili in sicurezza e nel rispetto della privacy dove e quando serve, e da qui prendere decisioni per il futuro”, conclude Di Franco.

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