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Attacco al petrolio saudita. L’Onu incastra l’Iran. Il commento di Bianco (Ecfr)

Il segretario generale Onu, Antonio Guterres, s‘è trovato sul suo tavolo un rapporto in cui l’Iran viene indicato come profondo responsabile dell’attacco contro gli impianti di petrolio sauditi del settembre 2019.

Il documento, visto in anteprima da Reuters, è stato trasmesso al Consiglio di Sicurezza, che dovrà adottarlo. Gli esperti parlano chiaro: missili e droni usati un anno fa per colpire i siti di Abqaiq e Khurais sono di “origine iraniana”. Ossia un’ulteriore conferma alla tesi nota secondo cui gli Houthi, i ribelli yemeniti in guerra con Riad, sono finanziati — quanto meno militarmente — dall’Iran.

D’altronde queste informazioni sono ormai appurate, e nel caso specifico i sauditi avevano organizzato una conferenza stampa show invitando i giornalisti a visitare una sorta di museo dei rottami che avevano allestito per mostrare al mondo le responsabilità di Teheran dietro a uno dei più devastanti attacchi subiti dal regno — colpo che indirettamente aveva raggiunto l’intero pianeta, visto che i danni avevano portato alla riduzione dell’output petrolifero saudita.

Secondo Cinzia Bianco, esperta di Golfo dell’Ecfr, “ora Riad potrebbe impostare una narrativa del genere: l’Onu ci dà ragione, tuttavia noi abbiamo evitato una rappresaglia e dunque ci siamo dimostrati molto più maturi dei nostri nemici”. Da questo l’Arabia Saudita potrebbe avviare una contro-pressione sulle Nazioni Unite, “chiedendo– spiega Bianco – che finiscano le forzature per un dialogo tra regno e Repubblica islamica, secondo una posizione semplice: non è colpa nostra se gli iraniani cercano continuamente l’escalation”.

La conclusione raggiunta dal documento è in effetti un valore aggiunto per Riad, anche perché nel report vengono analizzate anche altre situazioni simili, per esempio la spedizione iraniana diretta in Yemen e intercettata dalla Us Navy in cui erano state trovate armi simili a quelle usate contro l’Arabia Saudita.

E dunque, l’Onu recepisce ciò che i sauditi dicono da sempre, sostenuti dagli israeliani – nemici esistenziali dell’Iran che osservano il conflitto da lontano. Ossia, nella guerra in Yemen gli iraniani hanno appoggiato le istanze dei ribelli Houthi e li hanno aiutati per coltivare un confronto proxy contro Riad.

Teheran respinge le accuse, ma gli americani sono già al lavoro. L’ambasciatore americano alle Nazioni Unite ha annunciato che preparerà una risoluzione con cui aggiornare l’embargo sulle armi all’Iran, la cui scadenza è prevista a ottobre. E l’episodio contro i sauditi sarà usato a supporto.

Ma non solo: il report diventa imbarazzante per il Consiglio di Sicurezza i cui componenti sono le controparti internazionali all’accordo sul congelamento del programma nucleare iraniano, il Jcpoa del 2015. Quando l’amministrazione Trump decise unilateralmente di ritirarsi dall’intesa, due anni fa, furono citate situazioni come la guerra in Yemen e i tentativi di egemonia regionale tramite altri gruppi armati come motivazione.

I dettami venivano rispettati, ma l’Iran manteneva uno spirito aggressivo, diceva la Casa Bianca, e dunque l’accordo non poteva funzionare nella sua necessità più ampia, ossia creare un’architettura di sicurezza nella regione. Ci sono segni di de-escalation nel confronto tra Stati Uniti e Iran (lo scambio di prigionieri per esempio), ma situazioni come questa del report sull’attacchi ai sauditi rialzano le tensioni perché difficilmente gli americani non sosterranno i sauditi.

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