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Per salvare il Jcpoa, l’Ue deve controllare l’Iran. L’analisi dell’Ecfr

Secondo un report di Ellie Geranmayeh, vicedirettrice del programma MENA del think tank panaeuropeo Ecfr ed esperta dei rapporti tra Iran e Ue, “l’Europa e gli Stati Uniti hanno bisogno di una comprensione molto più sfaccettata della politica interna iraniana e di come le loro azioni negli ultimi anni hanno influenzato le dinamiche di potere sul terreno a Teheran”. Tanto per cominciare, i blocchi politici interni — sotto lo stress della “massima pressione” con cui gli Usa affrontano il dossier dopo essersi ritirati unilateralmente (due anni fa) dall’accordo nucleare Jcpoa — hanno spostato la retorica politica e la narrativa verso una linea di “massima resistenza conflittuale”. Il punto è la crisi economica. La ripresa necessita dell’appoggio occidentale, su cui i modernizzatori cercano di lavorare fin dal 2015 (col Jcpoa), mentre i conservatori principalisti e i sicurocrati legati ai Pasdaran si oppongono. E ora più che mai. Si tratta d’altronde di dinamiche interessate, perché la linea oltranzista permette la sopravvivenza (politica e nei consensi) a questi ultimi due blocchi anti-modernità.

“Nonostante la campagna di massima pressione degli Stati Uniti — spiega Geranmayeh — abbia creato più attriti interni tra forze politiche contrastanti, c’è una piccola opportunità per l’Europa per lavorare con forze più moderate per riportare Washington e Teheran alle trattative”. Per gli E3, i tre paesi europei che firmarono l’accordo sul nucleare cinque anni fa, secondo l’analista c’è un doppio compito. Primo, salvare l’intesa (proteggendola dalla pressione statunitense). Secondo, pressare l’Iran affinché torni indietro dalle violazioni e si attenga al deal. Francia, Germania e Regno Unito l’obiettivo centrale è quello di aiutare l’Iran a uscire dalla crisi economica e creare circostanze politiche favorevoli per rafforzare i modernizzatori in vista della corsa presidenziale iraniana nel 2021. Però, per Geranmayeh un ruolo fondamentale — visto il peso delle sanzioni imposte — ce l’avrà Washington.

L’analista mette in chiaro un punto fermo (che vale per diversi fascicoli internazionali): dopo le presidenziale di novembre qualcosa potrebbe cambiare. D’altronde Teheran ha avuto davanti negli ultimi dieci anni l’amministrazione che per anni ha lavorato all’accordo e poi quella della massima pressione.

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