Nella serata di giovedì, le forze speciali dell’antiterrorismo iracheno hanno effettuato un blitz contro la base della Kataib Hezbollah a Baghdad e arrestato 13 persone, tutti ufficiali della milizia. Finanziata dall’Iran, la Kataib è stata creata in Iraq sul modello di quella (più grande e potente) libanese: creare un partito politico armato in grado di costruire un sistema all’interno dello stato simil-mafioso, con rendite e scalate al potere. È una delle attività di influenza regionale pianificate dai Pasdaran e portata avanti dal defunto generale Soleimani, ucciso da un drone americano a gennaio. La Brigata 45, come gli Hezbollah iracheni vengono ribattezzati da quando sono integrati nella milizia ombrello Forze di protezione popolare (nata ai tempi della liberazione dall’Is), è anche accusata da Washington di aver compiuto diversi attacchi con razzi Katyusha contro basi utilizzate dai militari statunitensi e contro l’ambasciata Usa.
Sarebbero proprio questi attacchi – sei nelle ultime due settimane, senza conseguenza e fuori dalle cronache perché ormai diventati una costante – ad aver fatto scattare l’arresto di quella dozzina di miliziani (tra loro pare ci sia anche un iraniano). D’altronde, il primo ministro, Mustafa Al Kadhimi, aveva chiesto pubblicamente di fermare certe azioni, che hanno già trasformato il Paese in un territorio di confronto tra Iran e Usa. Per esempio, Soleimani è stato ucciso lungo una strada che costeggia l’aeroporto di Baghdad (e con lui c’era anche un alto comandante delle milizie), e la rappresaglia iraniana ha colpito – tramite missile cruise – basi irachene che ospitavano militari americani. L’arresto è un test sulle capacità statali irachene, aspetto a cui il premier tiene anche nell’ottica delle trattative bilaterali in corso con gli Usa.
Large convoy of Hashd vehicles and Hashd supporters on the streets of Baghdad following the news of a ‘raid’ on Hashd office..
This is around 5:30am! pic.twitter.com/rSvSmtWpZm
— ??Iraq & Middle East Updates (@IraqLiveUpdate) June 26, 2020
La reazione è stata violenta: i miliziani hanno voluto mettere pressione al governo rivendicando potere. Hanno sfilato in blocco sui pick-up armati tra le vie di Baghdad. È uno scontro sociale e antropologico: le milizia, come altre entità simili altrove, sono penetrate nel profondo del tessuto sociale e culturale iracheno. Lo Stato ne è vittima e complice allo stesso tempo. Parte sono colluse, parte le fronteggiano, adesso spinte anche dagli americani (che forse, secondo alcuni rumors, hanno partecipato al raid dell’anti-terrorismo, che è un’unità addestrata dai reparti d’élite statunitensi). Il problema è togliere ai gruppi armati il consenso o la presa sulla gente (qualcosa che ricorda la guerra alla mafie o ai cartelli delle droga). Lo scorso anno, c’erano state proteste contro questo sistema, represse anche per mano iraniana, e certamente la sfilata a bordo delle tecniche non è stato un grande show: non più tardi di cinque anni fa, certe immagini, in altre città del paese, avevano segnato l’inizio della dominazione dell’Is.