Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

L’Italia e la politica d’Egitto. Il corsivo di Arditti

Concentrati e inflessibili.

Questi i due aggettivi che il presidente Conte ha scelto per sintetizzare la posizione del governo italiano sul caso Regeni, ferita aperta e sanguinante della nostra coscienza nazionale, del nostro sistema politico e della nostra collocazione sullo scacchiere internazionale (con particolare riferimento a quello mediterraneo). Sono aggettivi pienamente condivisibili e certamente scelti in assoluta buonafede, ma sono anche il segno di una impressionante manifestazione d’impotenza che non può essere taciuta né sottovalutata, anche perché finisce per avere un enorme valore strategico che ora cercheremo di descrivere.

Per farlo però occorre tenere conto di due elementi essenziali che nulla hanno a che fare tra loro, ma che diventano tutt’uno non appena si passa dalla cronaca alla politica.

Il primo riguarda proprio la tragica fine del povero Regeni, su cui molto si è scritto e detto, spesso con approssimazione.

Rimane però un fatto certo, pur in presenza di un nulla di fatto sul fronte investigativo: la morte del povero studente triestino è avvenuta in un contesto tutt’altro che chiaro e certamente legato a doppio filo alle attività degli apparati di sicurezza egiziani, come dimostrano almeno tre (ma in realtà molti di più) elementi di portata semplicemente clamorosa: 1) la tesi sostenuta in un primo tempo da un alto ufficiale di polizia dell’incidente stradale è del tutto incompatibile con la realtà dei fatti; 2) Regeni è stato sequestrato ed interrogato per giorni dalle forze di sicurezza e dal momento della sua scomparsa nessuno l’ha più visto; 3) la morte di quattro uomini appartenenti ad una banda criminale per mano delle forze dell’ordine non ha aggiunto alcuna chiarezza alla vicenda ma semmai l’ha resa ancora più torbida, poiché il loro coinvolgimento nel caso è apparso presto del tutto privo di senso e di qualunque tipo di riscontro (oltre al fatto che porta ad almeno cinque il numero delle vittime di questa orribile storia).

Il secondo elemento emerge con chiarezza dall’intervento dell’on. Lia Quartapelle nel corso dell’audizione in commissione d’inchiesta del presidente del Consiglio, esattamente nell’occasione in cui sono stati pronunciati gli aggettivi ricordati all’inizio di questo articolo. La parlamentare del Pd ha infatti messo in campo nel suo intervento un aspetto poco noto ma di estrema rilevanza in tutta questa storia, vale a dire il fatto che l’Egitto è attualmente (dati dell’anno 2019) il Paese del mondo primo nella classifica delle nostre esportazioni militari, per un valore di poco inferiore al miliardo di euro. Esportazioni che sono destinate ad aumentare anche grazie al contratto Fincantieri per le due nuove fregate di classe Freem (1,1 miliardi di euro di prezzo totale) in corso di perfezionamento.

Ma qual è il punto di raccordo tra questi due elementi? Cosa lega la morte (spaventosa e insopportabile) del povero Regeni con le nostre forniture di armi all’Egitto? Ebbene l’elemento di collegamento c’è ed è fortissimo e si chiama “peso specifico” o, per dirla alla napoletana, “cazzimma”.

Un ruolo che non sappiamo (o non vogliamo giocare), un ruolo che stride brutalmente con quell’idea di “concentrati e inflessibili” che il presidente Conte prova a tenere in campo.

Noi (cioè l’Italia) riusciamo a vendere un miliardo all’anno di roba agli egiziani in un settore delicatissimo come la difesa ma non riusciamo ad usare questa indubbia posizione di vantaggio per ottenere quel minimo di collaborazione dalle autorità egiziane che ci permetterebbe di mettere una prima pietra di giustizia nel muro di bugie ed omissioni che sin qui ha caratterizzato questa storia, un muro che (comunque) l’autorità giudiziaria italiana è riuscita a “scavalcare” con grande abilità arrivando ad elementi di conoscenza avanzatissimi su fatti e persone.

Ecco allora il punto vero della questione, che non è rinunciare a vendere le fregate all’Egitto (scelta insensata sul piano delle relazioni internazionali, autolesionista sul fronte economico e perdente in termini di reputation), bensì quello di giocare proprio sul nostro “peso specifico” di fornitori di apparati di difesa tale da portare ad un livello accettabile di collaborazione per dare un minimo di giustizia ad una famiglia che attende (invano) da anni.

Diamoci una mossa allora, perché siamo diventati i campioni del mondo della politica estera fatta a chiacchiere e fotografie auto-celebrative su Instagram. Così sta andando in Libia (dove non abbiamo determinato nessuno dei fatti rilevanti degli ultimi anni) e così sta andando più in generale nell’intero Mediterraneo, che peraltro conosce un interessamento turco, russo, cinese e arabo che ne sta profondamente cambiando le dinamiche sotto ogni profilo.

Con l’Egitto serve amicizia giocata con spietata durezza, altro che pallide dichiarazioni a mezzo stampa. Serve bastone e carota, serve trattare sulle fregate e minacciare ogni forma di intervento per ridurre le presenza turistiche degli italiani se perdura la scarsa collaborazione sul caso Regeni. Serve agire da adulti responsabili, non da bambini capricciosi e impauriti.

Il presidente Abdel Fattah al-Sisi non ha avuto paura dei Fratelli Mussulmani, figurati se può temere una roboante ma puramente verbale azione di Conte o Di Maio.

È tempo di fare sul serio, se ne siamo capaci.

È tempo di mostrare se abbiamo ancora un po’ di “cazzimma”.

×

Iscriviti alla newsletter