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La memoria tra responsabilità o superficialità. La riflessione di D’Ambrosio

Sono molto profonde le parole del presidente Mattarella, a Bergamo, sul valore della memoria: “Fare memoria significa, quindi, anzitutto ricordare i nostri morti e significa anche assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto. Senza la tentazione illusoria di mettere tra parentesi questi mesi drammatici per riprendere come prima”. Nell’approfondire questo monito dobbiamo essere molto onesti: con la memoria, noi italiani, abbiamo diversi problemi. Tanti sono gli esempi. Il caso Segre, tra gli ultimi, è emblematico. Ma lo stesso dicasi per l’intero periodo fascista, per le leggi razziali, per lo stragismo e il terrorismo rosso e nero in periodo repubblicano, Tangentopoli e l’offensiva della mafia e cosi via. Il problema della memoria, per quanto accompagni la vita personale e comunitaria, in tutti i momenti, si pone – sappiamo bene – in maniera forte quando la memoria abbraccia eventi storici notevoli, spesso violenti e devastanti per molti aspetti. Da ultimo, appunto, il Covid-19 come il presidente ha ricordato chiaramente.

Lo sforzo di capire, di trarre una lezione dalla Storia, necessita di alcuni atteggiamenti antropologici ed etici fondamentali, che sono condizione necessaria e indispensabile per evitare retorica e strumentalizzazione di ogni memoria.

La nostra identità personale e sociale è il frutto di un lungo cammino storico. Sinteticamente Emmanuel Mounier dice che ognuno di noi è “qui  adesso  così  fra questi uomini  con questo passato” (Traité du caractère). Ciò significa che, in termini identitari, nella nostra vita, abbiamo dato e ricevuto e questo processo ha permesso di diventare quello che siamo. Il fare memoria vuol dire andare alle radici personali e sociali per scoprire sempre più chi siamo e dove andiamo. Certamente non è un virus a dirci chi siamo, ma la reazione ad esso è una chiara manifestazione di quello che siamo stati e siamo, nel bene e nel male.

Il fare memoria necessita di libertà. Chi non è libero interiormente rischia di trasformare la memoria in propaganda e questa, come tale, è quasi sempre in vista di potere, privilegi e denaro. Si pensi, per esempio, all’atteggiamento “negazionista”, che oltre ad essere il tradimento dell’autenticità della ricerca ed elaborazione scientifiche, nasconde anche doppi fini: chi lo pratica è poco libero da se stesso, dagli altri, dal potere e dal denaro per affermare onestamente come le cose stanno, fino a negare l’evidenza. Alcuni politici sono dei grandi e cattivi maestri in materia.

L’atteggiamento di libertà va di pari passo con quello dell’onestà. Chi non è onesto intellettualmente rischia di trasformare la memoria in un ennesimo lancio di fango su persone ed eventi; perché “ricordare significa riflettere, seriamente, con rigorosa precisione – ha detto il Presidente – su ciò che non ha funzionato, sulle carenze di sistema, sugli errori da evitare di ripetere”. Nel far memoria, non si sono dubbi, le mezze verità e le verità dette volontariamente mutilate, fanno male, tanto male. Weber direbbe che il dovere della verità è incondizionato, consegue che chi ha responsabilità sociali e politiche deve “confessare la propria colpa, unilateralmente, senza condizioni e senza badare alle conseguenze” (Politik als Beruf).

Il far memoria porta all’assunzione di responsabilità. Ha precisato Mattarella: “La memoria ci carica di responsabilità. Senza coltivarla rischieremmo di restare prigionieri di inerzie, di pigrizie, di vecchi vizi da superare”. Chi non fa memoria in piena coscienza rischia di minimizzare o evitare l’assunzione di responsabilità. Prendere coscienza del passato porta inevitabilmente ad individuare responsabilità precise, con tanto di nomi e cognomi delle persone coinvolte. Ovviamente il toccare la sfera delle responsabilità personali comporta il rispetto di fondamentali principi etici e giuridici (accertamento dei fatti e delle responsabilità giuridiche, specie penali e patrimoniali, fondatezza della prova, presunzione di innocenza fino a condanna definitiva, rispetto della privacy, possibilità di perseguire i colpevoli con giusto processo). Pensiamo, per esempio, alle vittime delle case per anziani, e ai loro più stretti parenti e amici, che tante volte si sono sentiti doppiamente feriti e umiliate quando hanno riscontrato irresponsabilità ad ogni livello istituzionale.

Le responsabilità si precisano sulla base di un progetto. Chi non ha un progetto rischia di compromettere la validità del suo ricercare. Un progetto che ha diversi livelli. Il primo è certamente quello della ricerca storica. Il far memoria si deve assolutamente basare su dati storici, provati dall’onestà e dalla scientificità di chi li elabora, ma non si ferma qui. Esso va inserito in un quadro di finalità etica ben preciso e necessita di un nuovo slancio educativo. Si fa memoria per quale finalità etica? Per quale apporto alla vita personale e comunitaria? Come, allora, il far memoria può rinsaldare i vincoli costitutivi di una comunità, nel suo essere e operare? Domande molto difficili, ma inevitabili. Altrimenti il far memoria scade al livello dei tanti venditori di tappeti, e frottole connesse, che spesso occupano le serate televisive. Penso, allora, che l’unica memoria valida sia quella che fa crescere, singoli e comunità, verso il bene e la felicità, sempre più e sempre meglio, direbbe Aristotele (Etica Nicomachea).


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