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La lezione di Beguinot per una città più umana. Parla Misuriello (Esri)

Per ragioni strategiche, la città rappresenta, e rappresenterà sempre di più, una sfida al centro dell’agenda globale. Tanti sono gli sguardi possibili. Ne parliamo con Emilio Misuriello, amministratore delegato di ESRI Italia.

Misuriello, pur provenendo da esperienze diverse, entrambi condividiamo la conoscenza di una grande scuola di pensiero sulla città, quella facente capo al Prof. Corrado Beguinot. Nei colloqui avuti nel corso degli anni, ricordo l’insistenza di Beguinot su una doppia via di approfondimento: quella della città umana, delle relazioni e quella della città tecnologica. Beguinot è stato certamente un visionario. Cosa le hanno lasciato quelle visioni nella sua attività ?

Il prof. Beguinot era un grandissimo visionario, capace di vedere cose che gli altri non erano in grado di riconoscere. Negli anni ‘80 del secolo scorso parlava di città cablata che null’altro è che la Smart City di oggi (tema ancora incompiuto) ma non sempre era compreso, soprattutto dal mondo accademico che faticava a capire l’innovazione di quei concetti e che non sempre ha portato “a terra” quelle intuizioni. Lui ha anche visto la crisi della città e, promuovendo il tema della città interetnica, ha evidenziato il concetto della “Città Umana”. Oggi quei temi iniziano ad essere affrontati dalla Società 5.0; certo il coronavirus ha prepotentemente portato in primo piano il tema del rapporto tra società e tecnologia che devono ancora trovare valori condivisi. Beguinot era su quella strada e i suoi insegnamenti ci sono più che mai utili e da guida oggi.

Quando Beguinot parlava di tecnologie si era agli albori di una rivoluzione che oggi si è consolidata. Qual è, sulla base della sua esperienza, il “giusto” rapporto tra la città umana e la città tecnologica ?

Il giusto rapporto oggi non c’è: l’antagonismo è evidente ed è l’economia del ‘900 che divide ancora Città Umana e Città Tecnologica, temi che dovrebbero invece viaggiare insieme e potrebbero costituire una enorme opportunità. Anche la politica, purtroppo, non ha compreso bene la rivoluzione in atto ed è legata a concetti ancora molto “antichi”. Oggi, nell’era del coronavirus, vediamo il “fallimento” delle Smart City che avrebbero potuto svolgere un ruolo fondamentale per la tutela della salute, per il miglioramento del movimento e dei trasporti, della prevenzione e del supporto economico e aiuto sociale. Tutto, purtroppo, si è affrontato in un modo vecchio e obsoleto che ha trovato nel chiudere tutti in lockdown l’unica via per combattere il virus. Anzi, la città ha scoperto le sue fragilità ed ancora oggi affronta l’emergenza con paura ed evidenziandone i limiti.

Il Covid-19 ha rivelato tutti i problemi strutturali che, nel corso degli ultimi decenni, non abbiamo affrontato in chiave culturale e politica. La mia impressione è che si debba andare verso una rinnovata alleanza progettuale tra politica, amministrazione, impresa, università, scienza. Lei cosa ne pensa?

Questa è l’unica via, è un cambiamento culturale che non è perseguibile se è solo di una parte. Solo la condivisione di un progetto condiviso e strategico ci permetterà di avere la possibilità di affrontare il futuro. Anche gli attori tecnologici fanno balzi in avanti che, se non condivisi, possono aumentare gli attriti sociali e, da opportunità, rischiano di trasformarsi in danno. Le Università devono dare un contributo formativo più incisivo e allineato con i tempi e fare loro da vero collante tra Imprese, Amministrazioni e Politica perché sono nella posizione di poterlo fare e perché fa parte della loro credibilità e missione.


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