Proteggere la sicurezza nazionale o l’immagine del presidente? È questa la domanda che solleva la richiesta del Dipartimento della Giustizia di sequestrare The Room Where It Happened, il libro atteso per il 23 giugno nel quale John Bolton ricostruisce i suoi 17 mesi come consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump. Secondo il governo, il libro conterrebbe informazioni classificate che danneggerebbero gli interessi degli Stati Uniti. Secondo la stampa, le cui anticipazioni si sono intensificate, si tratterebbe piuttosto di bloccare le rivelazioni sull’approccio di Trump alle relazioni internazionali. A soli cinque mesi dalla presidenziali di novembre, i dettagli forniti da Bolton – peraltro personaggio controverso per la sua posizione di falco in politica estera – potrebbero giocare un ruolo importante nell’orientare l’opinione pubblica. Né si tratta dell’unico siluro: il 28 luglio, un mese dopo Bolton, toccherà alla nipote Mary Trump svelare i retroscena familiari del presidente.
La battaglia legale aperta dalla richiesta al tribunale di bloccare le vendite del libro è solo agli inizi. Se la richiesta dell’amministrazione fa leva sul fatto che il testo non abbia ancora ricevuto il nulla osta alla pubblicazione che la legge impone a quanti abbiano lavorato alla sicurezza nazionale, il legale di Bolton, Charles J. Cooper, ribatte al New York Times che dopo quattro mesi di intensa revisione a fine aprile il National Security Council avrebbe infine detto di non avere più modifiche da chiedere. È probabile che altri aspetti verranno nei prossimi giorni.
Il sospetto che la sicurezza sia solo un pretesto è molto diffuso sulla stampa, che da molti mesi pubblica anticipazioni e indiscrezioni sui contenuti. Il Times che come altri quotidiani ha già visto il volume, riferisce che nelle trattative sui dazi ai prodotti cinesi Trump avrebbe chiesto al collega cinese Xi Jinping di acquistare prodotti agricoli statunitensi per migliorare le proprie prospettive di rielezione in alcuni stati chiave. L’accusa, potenzialmente devastante. Già in gennaio i giornali avevano riferito della richiesta di Trump a Biden affinché premesse sull’Ucraina per avere informazioni negative sul candidato democratico Joe Biden. Oggi Bolton vi aggiungerebbe molto altro, la disponibilità del presidente a bloccare indagini penali “per fare, in pratica, favori personali ai dittatori di suo gradimento”. Una prassi che, secondo le parole che il giornale attribuisce al libro, “sembrava quella dell’intralcio alla giustizia come modo di vita, cosa per noi inaccettabile”. Non mancherebbero aneddoti e frecciatine sull’ignoranza di Trump, che non sa che il Regno Unito sia potenza atomica o immagina che la Finlandia sia parte della Russia, e sulla sua fascinazione per metodi duri, compresi i campi di prigionia per gli oppositori.
La strada per il sequestro sembra però ardua. Da un lato, come scoprì Nixon nel caso dei Pentagon Papers, in base al Primo Emendamento non si può vietare preventivamente la pubblicazione ma solo perseguirne gli autori dopo che questa è avvenuta. (Nel caso specifico, non lo furono). In più, la brusca frenata del processo autorizzativo da parte di dirigenti di nomina politica non depone a favore dell’imparzialità del giudizio. Dall’altro, la richiesta è difficile da realizzare. Il libro e già in testa alle vendite di Amazon prima ancora di essere fisicamente disponibile e l’editore Simon & Schuster ha già distribuito migliaia di copie alle librerie. In compenso, è più facile bloccare i pagamenti a Bolton, al quale secondo indiscrezioni l’editore avrebbe garantito un compenso di due milioni di dollari.
Se lo scopo è davvero quello di proteggere l’immagine del presidente, la battaglia legale potrebbe rivelarsi controproducente a prescindere dall’esito. La pioggia di indiscrezioni danneggerebbe forse le vendite, ma difficilmente potrebbe evitare la circolazione delle storie più succose.
Come se non bastasse, Simon&Schuster pubblicherà presto anche Too Much and Never Enough: How My Family Created the World’s Most Dangerous Man, il libro in cui Mary Trump, figlia di Fred Jr, fratello maggiore di Donald. La cinquantacinquenne psicologa ha già intentato causa allo zio, accusandolo di aver esercitato «influenza eccessiva» sulla ripartizione dell’asse ereditario del capostipite Fred Trump. Nonostante gli evidenti timori del presidente rendano plausibile che il Dipartimento della Giustizia agisca più nell’interesse di Trump che nella tutela della sicurezza nazionale – come peraltro lasciano pensare anche le dimissioni di alcuni alti dirigenti, tra i quali il responsabile delle cause civili -, non è chiaro quanto i libri troveranno ascolto presso gli elettori repubblicani negli stati chiave per la rielezione. Già in passato, i conservatori e gli evangelici che formano lo zoccolo duro dell’elettorato trumpiano hanno mostrato una enorme capacità di turarsi il naso di fronte alle evidenti carenze morali e caratteriali del presidente che si vorrebbe epigono di Jackson.