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Limiti ed opportunità dello stimolo fiscale in Germania

La Germania ha deciso di varare un ulteriore stimolo fiscale da 130 miliardi (comprensivo di una temporanea riduzione dell’IVA per spingere i consumi), destinati a finanziare la ripresa. Un segnale importante, da molti punti di vista. Anche per noi italiani.

Il primo elemento positivo è che, in un quadro generale di reflazione sul piano europeo, il fatto che qualche paese, grazie a conti pubblici migliori, possa (e decida di) iniettare liquidità tramite la spesa pubblica è più facile da far digerire ai paesi limitrofi (e in maggiore difficoltà). Inducendo ad un giudizio positivo proprio perché la reflazione su base decentrata, nazionale, è accompagnata da un massiccio intervento sul piano europeo, tramite il Next Generation EU e gli altri strumenti già adottati da Commissione (SURE), BEI e MES (oltre che, naturalmente l’ombrello di liquidità fornito dalla Bce).

Immaginatevi se la ripresa fosse stata relegata al solo intervento delle autorità nazionali di politica economica: avremmo una ripresa sostenuta nei paesi economicamente più sani, lenta negli altri. Con il conseguente ampliamento dei divari e il peggioramento dei rapporti fra paesi membri, che avrebbe dato ulteriore fuoco alle polveri delle rivendicazioni nazionaliste.

Il secondo elemento positivo è che un’iniezione di liquidità in Germania aiuta tutta l’Europa. Quasi il 60% dei prodotti importati dalla Germania viene infatti dal resto della UE. Il che significa che aumenti di reddito in Germania si indirizzeranno per una buona parte ad alimentare la domanda di produzioni (e quindi di reddito) negli altri paesi europei. Non a caso, fino ad oggi abbiamo sempre rimproverato alla Germania di non consumare abbastanza; e di non investire a sufficienza in infrastrutture pubbliche (pur avendo un livello di infrastrutturazione decisamente più alto dell’Italia). Con questo frenando a livello europeo la possibilità di effetti domino virtuosi sulla spesa.

Fino ad oggi, gli ostacoli principali a questa scelta erano stati due: un orientamento macroeconomico prudente dei governi; ed una strutturale incapacità culturale e distributiva dei tedeschi a trasformare i propri redditi in consumi. Questo è l’elemento chiave per capire le potenziali ricadute della decisione della Germania: come reagiranno i consumatori tedeschi? La politica monetaria della Bce invita a dimenticare le virtù del risparmio (visto che i tassi sui depositi e sugli strumenti finanziari del Tesoro sono addirittura negativi) e privilegiare quelle dei consumi, in ciò aiutando quell’effetto moltiplicatore della spesa che è la chiave per la ripresa economica.

La capacità degli aumenti di reddito di trasformarsi in maggiori consumi non è tuttavia meccanica: dipende dalla struttura distributiva del paese e dalle aspettative verso il futuro. In questo, occorre ricordarlo, il governo tedesco già prima del Covid aveva invitato la popolazione a sfruttare i bassi tassi d’interesse a lungo termine per indebitarsi sul mercato bancario ed acquistare un immobile, con ciò aiutando la ripresa interna del mercato edilizio (tradizionalmente ‘autarchico’ ovunque, quindi ad alto impatto, ma solo interno).

Ancora meno meccanica è la capacità del risparmio (la parte del reddito che non viene consumata) di alimentare investimenti privati che, a loro volta, dipendono dalle aspettative sull’andamento dell’economia nel tempo, quindi anche sulle potenzialità della domanda privata.

Insomma, è cruciale capire come si muoveranno le aspettative di famiglie e imprese tedesche; in questo senso, il favore della Merkel ai fondi per il Next Generation EU costituisce un tassello fondamentale di credibilità complessiva sulla coerenza degli interventi nello spazio economico europeo, nel quale anche investitori e consumatori tedeschi si muovono. Insomma, tanto per cambiare una manovra intelligente da parte di Angela Merkel. Che non era affatto scontata.

Ma perché questa doppia manovra (sul piano europeo e su quello nazionale) possa contribuire in modo decisivo a far uscire l’Europa non solo da una recessione senza precedenti, ma a compiere un ulteriore passo verso una politica economica collegialmente condivisa, occorre che ognuno faccia la sua parte. Che in paesi meno virtuosi, come il nostro, le risorse vengano indirizzate verso investimenti collettivi selettivi (ad alto impatto sulla produttività del sistema-paese, tipo infrastrutture di comunicazione e trasporto, ricerca e formazione del capitale umano, innovazione e transizione ecologico-energetica, infrastrutture sociali e culturali, etc). E che il le istituzioni europee, grazie al contributo decisivo del Parlamento Europeo, unico organismo rappresentativo della volontà dei cittadini europei, consolidino le regole dello stare insieme nell’Unione, colmando inefficienze che oggi è possibile superare solo grazie ad una eccezionale situazione d’emergenza.


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