Quarantuno impegni all’estero per un massimo di 8.600 militari, schierati dal Golfo di Guinea all’Afghanistan per la difesa degli interessi nazionali e il contributo alla pace e stabilità internazionale. La priorità resta la Libia, con la missione Irini che ha già registrato difficoltà operative. Nuovi dispiegamenti in Sahel e nel Golfo di Guinea, mentre si confermano gli impegni maggiori in Iraq, Afghanistan, Libano e Balcani. È un Mediterraneo più che allargato quello che è emerso dalle comunicazioni odierne dei ministri Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, in merito alla delibera del Consiglio dei ministri su tutti gli impegni all’estero del 2020 per i militari italiani, al vaglio del Parlamento. Per i nuovi impegni si tratta di un massimo 1.125 unità militari (consistenza media pari a 494) e di un fabbisogno finanziario pari a 47,4 milioni di euro.
IL CONTESTO
Numeri che si inseriscono in un contesto securitario internazionale in netto peggioramento. Terrorismo, Stati falliti, confronto tra grandi potenze e ora la pandemia sono solo alcune delle minacce ricordate da Di Maio e Guerini. L’Italia ci si muove seguendo le linee tradizionali della propria politica estera, di cui le missioni internazionali sono strumento ed espressione. “L’impegno italiano – ha detto il titolare della Farnesina – riflette la nostra identità mediterranea, la vocazione europeista, il legame transatlantico e il convinto sostegno al multilaterlismo”. Un’adesione “convinta”, ha detto Di Maio, “all’Alleanza Atlantica e all’Unione europea”, nella conferma “di uno spirito estremamente filo-atlantico”.
PRIORITÀ LIBIA
La priorità resta la stabilizzazione della Libia, dove ieri si è recato Di Maio in visita al premier Fayez al Serraj, riportando a Roma l’apertura dei negoziati per un nuovo memorandum sui migranti. Nel Paese “persiste una gravissima instabilità che si ripercuote sull’intera regione mediterranea e sulla nostra stessa sicurezza”, ha detto il ministro degli Esteri. All’orizzonte, due prospettive, “entrambe da evitare: un’escalation militare con gli interventi diretti di attori esterni; un congelamento della situazione che si traduca in una spartizione di fatto tra le parti”. L’Italia vuole impedire entrambe le eventualità, continuando a puntare (ha notato Di Maio) sul “dialogo inclusivo” e sulla “soluzione politica”, rispettosa “della centralità del piano delle Nazioni Unite”.
LA MISSIONE IRINI
In ogni caso, ha aggiunto Di Maio, “per fermare la guerra, dobbiamo bloccare l’afflusso di armi”. Per questo, l’Italia sostiene con forza l’impegno europeo con EuNavForMed-Irini, la missione al comando dell’ammiraglio Fabio Agostini che punta a garantire l’embargo sancito dall’Onu. Un impegno già messo alla prova dalla Turchia (non a caso se ne è discusso in sede Nato), che considera Irini un fattore di sostegno al generale Khalifa Haftar, in grado di ricevere armamenti via terra dall’Egitto. “Noi abbiamo ribadito che lavoriamo affinché la missione operi in modo efficace e imparziale”, ha spiegato oggi Di Maio.
I NUMERI
L’operazione Irini è operativa dal 4 maggio scorso con la fregata francese Jean Bart e un aereo da pattugliamento marittimo del Lussemburgo, a cui poi si sono aggiunti un ricognitore polacco, uno greco, uno tedesco e la fregata greca Spetsai. “Un volume di assetti e di personale non ancora ottimale”, ha ammesso Guerini oggi alla Camera. Per l’Italia, la delibera del governo prevede un contributo di 500 militari, un’unità navale e tre mezzi aerei. Per l’Italia, lo sforzo nell’ambito di Irini si aggiunge alla missione bilaterale di supporto e assistenza (Miasit) in cui rientra l’ospedale da campo a Misurata e per cui si confermano per il 2020 i numeri dello scorso anno: un dispiegamento massimo di 400 militari (effettivi circa 240), 142 mezzi terrestri e le unità navali derivanti da Mare Sicuro. Confermata da Di Maio e Guerini anche la disponibilità italiana a fornire supporto per lo sminamento delle aree urbane.
NUOVO IMPEGNO IN SAHEL
Al tentativo di stabilizzare la Libia si lega il nuovo impegno italiano in Sahel, regione più che connessa al nord Africa, “dal 2012 teatro di una gravissima crisi securitaria, umanitaria e istituzionale che affonda radici in contesto di già profonda fragilità”, ha notato Guerini. Per evitare il disastro, con un dispiegamento massimo di 200 militari (consistenza media pari a 87) e 20 mezzi terrestri, l’Italia aderisce alla task force internazionale Takuba, nata su iniziativa francese con compiti di addestramento e supporto al contrasto del terrorismo tra Mali, Niger e Burkina Faso. Da almeno un anno Parigi chiede ad alleati e partner un supporto alla missione Barkhane, operativa in un’area grande quanto l’intera Europa con 4.500 militari francesi, a fronte di una crescente instabilità tra terrorismo jihadista e traffici illeciti.
LA CONFERMA PER IL NIGER
La convergenza italiana si è materializzata con assidui contatti sul dossier tra Guerini e l’omologa Florence Parly, e si inserisce nella rinnovata Coalizione per il Sahel. Tra l’altro, nella regione già opera la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (che in passato creò malumori a Parigi), per cui nel 2019 si era autorizzato un dispiegamento massimo di 290 militari, 160 mezzi terrestri e cinque mezzi aerei. Numeri confermati per il 2020. “Abbiamo già formato un numero significativo di personale militare”, ha detto Guerini, ma i rischi di instabilità impongono di “perseguire un impegno militare maggiormente profilato”.
NUOVA MISSIONE IN MARE
Novità inattesa della delibera governativa è stata la missione nel Golfo di Guinea, nelle acque internazionali dell’Oceano indiano tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio, lì dove “si assiste alla crescente incidenza del fenomeno della pirateria marittima”, ha spiegato il ministro della Difesa, “con dinamiche interconnesse alle aree circostanti”. Per questo, il Consiglio dei ministri ha sancito l’avvio di un “dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza”, con l’obiettivo di contrastare e prevenire la pirateria e tutelare asset strategici per gli interessi nazionali, tra cui si citano prima di tutto quelli estrattivi dell’Eni, ricordati oggi da Guerini. Con due mezzi aerei e altrettante unità navali, opereranno nelle acque internazionali al massimo 400 unità (consistenza media in teatro di 65). L’unità navale, ha detto il ministro Guerini, sarà impiegata in “maniera non continuativa”.
LO SFORZO COMPLESSIVO
Confermati poi i maggiori impieghi già in essere: l’impegno anti-Isis in Iraq (1.100 unità, 270 mezzi terrestri e 12 velivoli), la partecipazione a Unifil in Libano (1.076 unità, 278 mezzi terrestri e 8 aerei), la missione Resolute Support in Afghanistan (800 unità, 145 mezzi terrestri e 8 velivoli, in attesa di novità sui negoziati intra-afgani) e la Nato Joint Enterprise nei Balcani (oltre 600 unità e 204 mezzi terrestri). In tutto, gli impegni prorogati contato un dispiegamento massimo di 7.488 unità, in aumento rispetto al 2019 (7.343), ma in calo dal punto di vista della consistenza media (6mila, contro le 6.290 dello scorso anno). La missione maggiore riguarda l’Iraq, la cui stabilità resta tra i principali interessi strategici per l’Italia. “Il 2020 sarà un anno cruciale per il Paese”, ha notato Guerini, ricordando la minaccia sempre valida dell’Isis, i rischi di instabilità e il fatto che l’Iraq sia il primo fornitore di petrolio per l’Italia (dati 2019, Unione petrolifera), con una copertura del 20% dell’import nazionale di greggio.
LA MISSIONE IN IRAQ
Lo scorso anno si era autorizzato un dispiegamento massimo di 900 unità per contribuire alla Coalizione internazionale anti-Isis. Per il 2020, i numeri salgono a 1.100 unità, con l’aggiunta di una batteria missilistica Samp-T che sarà schierata in Kuwait per proteggere gli assetti nazionali “a seguito dell’evoluzione dello scenario geo-politico nell’area d’operazioni”. Evoluzione accelerata dall’uccisione a Baghdad lo scorso gennaio del generale iraniano Qassem Soleimani e dalla conseguente risoluzione del Parlamento iracheno (non vincolante per il governo) per fa uscire gli americani dal territorio. Anche per questo (cioè per abbassare il profilo della presenza Usa) la linea concertata con gli alleati è un progressivo trasferimento di competenze dalla Coalizione anti-Isis alla parallela Nato Training Mission, per cui per il 2020 l’Italia prevede 46 unità. Guerini ha annunciato oggi che, con il potenziamento della missione Nato, l’Italia si proporrà per il suo comando “a partire dal 2021”.
…E IN AFGHANISTAN
Per l’Afghanistan, il governo ha confermato 800 unità nell’ambito della missione a guida Nato Resolute Support della Nato. Non si esclude una rimodulazione “in senso riduttivo” nel caso di un miglioramento delle condizioni di sicurezza. L’accordo raggiunto a fine febbraio tra Stati Uniti e talebani prevede una riduzione della presenza straniera fino a 12mila unità entro l’estate. Si tratta però di un ritiro “condizionato” al rispetto dell’accordo da parte dei talebani, ovvero la cessazione delle ostilità verso le forze afgane e il buon esito dei negoziati tra le forze del Paese. Per ora (come ci ha spiegato l’ambasciatore Stefano Pontecorvo) i segnali non sono tutti positivi. Per l’Italia, ha detto Di Maio, “è fondamentale salvaguardare i progressi ottenuti in un momento, quello attuale, delicatissimo”. La linea, ha aggiunto concludendo Guerini, si inserisce nel “pieno coordinamento con gli alleati: in together, out together, adjust together”.
E LA MISSIONE A HORMUZ?
Nella delibera del governo, ha già sorpreso l’assenza di riferimenti a una missione nello stretto di Hormuz. A fine gennaio, il Consiglio dell’Unione europea aveva trovato consenso politico sulla missione Emasoh, una coalizione di volenterosi nata su iniziativa di Parigi a cui l’Italia si diceva favorevole. Da circa un anno le acque dello stretto di Hormuz sono d’altra parte tornate a surriscaldarsi per l’assertività iraniana, ulteriormente aumentata dopo la morte di Qassem Soleimani. Persino il Giappone ha previsto in tempi recenti il dispiegamento di unità militari a protezione dei propri interessi, mentre gli Stati Uniti invocano da tempo un coinvolgimento maggiore degli alleati nel controllo della regione (raccogliendo il supporto del Regno Unito per l’operazione Sentinel). Quelle acque “rappresentano un interesse strategico per la nostra economia”, spiegava Guerini alle commissioni parlamentari a gennaio, illustrando l’intenzione di aderire al progetto francese. Nel documento approvato dal Consiglio dei ministri manca ogni riferimento a Hormuz. “Abbiamo dato il consenso politico e non lo abbiamo ritirato”, ha spiegato Di Maio senza aggiungere dettagli. “L’Italia ha pubblicamente dichiarato appoggio politico per la missione; tuttavia – ha detto concludendo Guerini – ritengo che sia un’opportunità da esplorare nel corso del 2021”.