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Open Fiber-Macquarie, i dubbi (e l’audizione) del Copasir

Il Copasir è pronto a chiamare in audizione Open Fiber. Sotto la lente del comitato di Palazzo San Macuto è finita l’offerta del fondo infrastrutturale australiano Macquarie per acquisire il 50% della società in mano ad Enel (il restante 50% è in mano a Cassa Depositi e Prestiti), che sta costruendo la fibra ottica su tutto il territorio italiano.

Nella riunione di questo mercoledì l’organo bipartisan si è riunito per discutere della relazione semestrale dei Servizi e per la convocazione dell’ufficio di presidenza. Un ruolo del tutto marginale, nonostante alcune indiscrezioni di stampa, ha avuto il caso M5S-Venezuela che, fanno sapere ambienti vicini al comitato, ha implicazioni politiche e giudiziarie ma non è ancora stato posto all’attenzione dell’intelligence, che infatti non sarà convocata a riferire sul dossier dal Copasir.

Si è invece parlato di Open Fiber e dell’operazione con cui Enel, oggi detentore del 50% della società partecipata, potrebbe vendere la sua quota al fondo australiano. L’interessamento ha destato la preoccupazione del Copasir che vuole vederci chiaro sugli assetti azionari del fondo.

Il comitato vuole in particolare approfondire eventuali legami finanziari fra Macquarie e la Borsa di Hong Kong. L’approvazione da parte del governo cinese della nuova Legge sulla Sicurezza nazionale che estende e rafforza l’autorità giudiziaria di Pechino nel distretto autonomo potrebbe infatti rendere meno sicura la piazza finanziaria del Porto Profumato e mettere a repentaglio la sicurezza delle informazioni di società quotate.

Non sfugge infatti che, come sottolineato da diversi analisti, l’entrata di Macquarie in Open Fiber e la contestuale fuoriuscita del gruppo elettrico guidato da Francesco Starace potrebbe facilitare il tanto discusso matrimonio con il gruppo Tim per la rete unica. L’idea che un fondo con collegamenti con il mondo finanziario cinese possa mettere le mani sull’intera infrastruttura di rete non piace al Copasir. Anche perché l’altra metà dell’azionariato di Open Fiber, Cdp, non è estranea alla presenza di attori cinesi. Il 35% di Cdp Reti è infatti in mano al gruppo cinese State Grid dal 2014 (un tema, questo, sollevato di nuovo nella recente audizione al Copasir dell’ad Fabrizio Palermo).

Di qui un altro problema: affidare parte della rete a un attore straniero di cui non si conosce sufficientemente il profilo finanziario, fa notare un’altra fonte a conoscenza del dossier, sembra contraddire un leit-motiv degli Stati generali di Villa Pamphili, dove si è parlato (e lo stesso nel rapporto di Colao) di “5G pubblico”.

C’è poi un tema politico, che esce dall’aula di Palazzo San Macuto ed entra al Nazareno. Chi ha voluto che Enel entrasse in Open Fiber insieme a Cdp per una diffusione capillare della fibra, anche nelle cosiddette “aree bianche”? Chi ha ufficializzato quell’operazione con una legge? Il Pd, all’epoca al governo con Matteo Renzi. Molti dei protagonisti di quella stagione sono ancora nelle prime file del partito (ad esempio, Marianna Madia, allora ministro della Pa, oggi responsabile Innovazione del Pd). Dare il via libera all’operazione inversa rischia di suonare come un’aperta smentita.

Raggiunto al telefono da Formiche.net, Enrico Borghi, deputato del Pd e membro del Copasir, preferisce non commentare i lavori odierni del comitato ma sottolinea la salienza politica dell’operazione su Open Fiber. “Le risorse del Recovery Fund devono servire per sostenere le infrastrutture strategiche del futuro, il 5G è una di queste. Se l’Europa mette questi fondi a disposizione, dobbiamo usarli per creare un 5G europeo che ci affranchi dalla dipendenza da altri soggetti esteri – spiega – Non possiamo costruire l’autostrada per il futuro su una logica a ribasso”.

Qualunque cosa si decida, è bene che la decisione sia sottoposta al vaglio del Parlamento, fa notare Borghi. “Se vogliamo discutere di partecipazioni statali nelle infrastrutture strategiche, dobbiamo farlo in sede politica”.



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