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È ora di ricomporre i cocci del settore Ceramica. Scrive Nora Garofalo

I numeri della ceramica italiana continuano ad essere di tutto rispetto: nel 2019 le aziende del settore erano 279, con 27.500 addetti e un fatturato di 6,5 miliardi di euro. A farla da padrona è la produzione di piastrelle, seguita dai laterizi, dai materiali refrattari, dalla ceramica sanitaria e dalle stoviglie. I nostri distretti industriali rappresentano una eccellenza a livello mondiale: Sassuolo e Scandiano, Imola e Faenza, Impruneta, Vietri sul Mare, Civita Castellana, Nove e Bassano del Grappa, per citare i principali.

LA CRISI CAUSATA DAL CORONAVIRUS

Le conseguenze del Covid-19, però, sono state nefaste anche per questo settore, che nei mesi del lockdown ha perso oltre 350 milioni di euro di fatturato (dati diffusi da Confindustria Ceramica) a causa dello stop produttivo totale iniziato il 22 marzo. Le imprese ceramiche si sono subito adoperate per riuscire a spedire gli ordini già ricevuti, principalmente dall’estero. Il confronto con i sindacati ha permesso di garantire le condizioni di sicurezza anti-contagio sia sul distanziamento che sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuali. Dopo il lockdown la produttività del settore è crollata, con flessioni tra il 30% e il 50% rispetto ai volumi dello scorso anno. A preoccuparci è anche il consolidamento delle aziende di India e Turchia, e in generale delle imprese che operano in nazioni meno colpite dalle conseguenze della pandemia.

LA CASSA INTEGRAZIONE

Le aziende hanno fatto ricorso alla Cassa integrazione per i propri dipendenti. In quasi tutte le realtà sono anche riuscite ad anticiparne i trattamenti economici, evitando ulteriori disagi per tantissime famiglie. Una operazione resa possibile grazie alla sottoscrizione di specifici accordi sindacali, siglati nonostante la procedura di richiesta con causale Covid non prevedeva fossero obbligatori. Oggi tutte le realtà industriali sono tornate operative, continuando a fare largo ricorso agli ammortizzatori sociali. Ma in molti casi sarà difficile tornare ai volumi pre-crisi. Durante la stagione estiva dovrebbe verificarsi un picco di attività che rischia però di essere soffocato dalla staticità del settore edile.

LA SINERGIA CON I SINDACATI

Le scelte compiute dalle aziende del settore sono state responsabili, e il confronto con sindacato, direzioni aziendali e associazioni datoriali ha consentito di ottenere una caratterizzazione del protocollo nazionale attraverso un documento di linee guida, in grado di adattare i vari protocolli di sicurezza di ogni azienda del settore. In molte realtà sono stati istituiti i Comitati Covid con i lavoratori, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i medici del lavoro e la direzione aziendale, creando dei tavoli finalizzati ad individuare criticità e soluzioni specifiche adatte all’organizzazione del lavoro, arricchendo e rendendo efficace il protocollo aziendale.

LE RICHIESTE AL GOVERNO

Insieme a Confindustria Ceramica abbiamo chiesto, attraverso una lettera inoltrata al presidente del Consiglio, interventi finalizzati a dare spinta alla ripartenza del settore. Oltre alla richiesta di estendere e semplificare l’accesso agli ammortizzatori sociali, riteniamo sia importante rilanciare la domanda interna di prodotti ceramici. L’edilizia è il volano principale per questo settore, e la richiesta corale è di catalizzarne la ripresa. Una misura importante per il settore sarebbe l’equiparazione dell’efficienza idrica a quella energetica: l’ecobonus consentirebbe di ammodernare il patrimonio edilizio nazionale e quindi di risparmiare centinaia di milioni di metri cubi di acqua potabile. Per tutelare e preservare gli addetti del settore, anche in vista del rinnovo del contratto, si dovrà però intervenire sulla riduzione dell’orario, sullo smart-working e sulla flessibilità. Gli ammortizzatori sociali continueranno ad essere utilizzati, ma l’obiettivo resta quello di trovare soluzioni strutturalmente sostenibili e a lungo termine, che non ne necessitino. Siamo impegnati per dare nuovo valore all’idea di ‘lavorare meno per lavorare tutti’, è una sfida che si può vincere.


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