Il Ponte di Genova, più correttamente “Viadotto” di Genova, per le nuove caratteristiche tipologiche dell’opera, è la dimostrazione che anche in Italia si possono realizzare grandi infrastrutture in tempi ragionevoli. Alla condizione però di adottare norme che semplifichino e sburocratizzino un settore sfiancato da anni di continue, e in gran parte inutili, revisioni normative che si sono progressivamente aggiunte e sovrapposte ai mille vincoli interdittivi detenuti e distribuiti tra gli innumerevoli, quanto resistenti, soggetti pubblici, centrali e locali.
Conseguentemente oggi si è aperto un dibattito che vede contrapposte almeno due posizioni. Da un lato c’è chi sostiene che il modello procedurale adottato per il Ponte possa essere replicato in altri o in tutti i casi, e dall’altro coloro che affermano che, malgrado l’innegabile successo, si tratti comunque di un caso eccezionale che è difficile applicare nell’ordinarietà. Le posizioni appaiono difficilmente conciliabili, anche perché trasversali agli schieramenti politici in quanto tutti si cercano in qualche modo di attribuire il merito del successo.
Il M5S con l’ex ministro Danilo Toninelli rivendicano di essere stati loro, quando guidavano il ministero delle Infrastrutture, ad avviare l’opera. Il centrodestra, al governo di Genova e Liguria, non può che attribuire il merito al governatore Giovanni Toti e ancor di più al sindaco Marco Bucci, commissario per la realizzazione dell’opera. Il Pd in tutto questo, sia attraverso il segretario Nicola Zingaretti che l’attuale responsabile del dicastero competente, Paola De Micheli, veste il ruolo della “responsabilità”. E cerca di frenare e gestire le spinte alla deregulation normativa nei confronti dell’attuale Codice degli appalti, partorito quando l’attuale capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio guidava il Mit. Ma la realtà è che in un momento così difficile per l’economia italiana, in cui molti spingono affinché finalmente si torni a investire sulle infrastrutture, il partito del “no a tutto” è sempre in agguato. Sempre pronto a puntare il dito sull’odiosa “cementificazione”, foriera di vera o presunta corruzione e di danni ambientali.
La questione quindi è molto seria e delicata anche nella prospettiva dello sblocco delle risorse europee del Mes e del Recovery fund. In quanto i finanziamenti stanziati da entrambi gli strumenti dovranno essere utilizzati per investimenti e non per aumentare la spesa corrente e né, tantomeno, come ha auspicato recentemente Luigi Di Maio con un malcelato atteggiamento opportunistico, per diminuire le tasse. Il Ponte di Genova è quindi diventato, malgrado se stesso, ovvero l’opera in sé (con il parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sostanzialmente disatteso) e le tante “zone grigie” delle procedure applicate nell’appalto, un simbolo di positiva semplificazione che la politica non può ignorare. Ma sul quale è necessaria la convergenza delle forze riformiste trasversali ai due attuali schieramenti politici affinché anche questa non diventi una ulteriore occasione persa. Che consenta alla politica di continuare a costruire alibi per aumentare la spesa pubblica corrente e improduttiva, e continuare nelle ampie elargizioni selettive, con il sempre più diffuso sistema dei bonus. La complessità realizzativa di un’opera pubblica, che deve essere sempre più improntata a principi green di innovatività tecnologica, economicità, durabilità e sostenibilità ambientale, non può essere affrontata attraverso semplificazioni ma neanche con inutili ritualità amministrative.
La convergenza riformista deve avere come obiettivo la rivalutazione delle competenze tecniche e scientifiche che con la regionalizzazione del Genio Civile sono state emarginate a favore della burocrazia amministrativa. Ma anche la creazione di un moderno sistema di Public Procurement, che significa non solo nuove regole, chiare, certe ed efficaci, per realizzare opere ma anche per acquistare servizi e prodotti, ma anche e soprattutto la costruzione di un nuovo apparato amministrativo manageriale, motivato, ed efficiente, che le applichi senza il rischio di essere indagato per reati di incerta natura, quale l’abuso d’ufficio.