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L’horror vacui del premier. L’analisi di Arditti

Non credo vi siano motivi particolari per farla tanto complicata. A Palazzo Chigi scatta l’allarme rosso per una banale quanto evidente verità: la pandemia ha perso gran parte della sua potenza narrativa e quindi non è più sostenibile un registro di comunicazione dedicato esclusivamente all’emergenza sanitaria, poiché essa si è conclusa (almeno nella prima fase) con il sigillo apposto dal Capo dello Stato a Codogno il 2 giugno, attraverso una visita tutta improntata alla memoria (il cimitero) e al ringraziamento (il personale sanitario).

Inoltre, la necessità di cambiare argomento porta con sé una conseguenza stilistica (e politica) di non poco conto, poiché rimette il premier all’interno delle dinamiche di coalizione, che ha potuto serenamente ignorare nei mesi passati in costanza dell’incubo Covid-19.

Insomma tutto è cambiato negli ultimi giorni e ancora di più lo sarà nelle settimane a venire. Cerchiamo però di fare ordine, intorno ai due punti “cardine” del ragionamento.

Primo: l’emergenza finisce e la palla passa ai temi economici (con annessi scenari europei). Quindi non è più tempo di ascoltare clinici e virologi, ma occorre tornare alle voci di imprenditori, sindacalisti, economisti e così via.

Il tutto in attesa di una seconda parte dell’anno potenzialmente drammatica, poiché nessuno di noi ha mai vissuto in un mondo con il Pil che perde dieci punti.

Secondo: la fine della Fase 1 (quella delle comunicazioni via Facebook al popolo in ascolto) porta con sé il riaffacciarsi di un immortale evergreen della politica italiana, che nei mesi autunnali cerca di disfare i governi in carica.

A tutto ciò il presidente del Consiglio reagisce con una conferenza stampa un po’ pasticciata (il riferimento – “lo valuterò senza pregiudizi” – al Ponte sullo Stretto appare abbastanza surreale, visto che siamo di fronte ad un “nulla di fatto” che si prolunga da decenni) e soprattutto con l’intenzione di organizzare ad horas un ambizioso appuntamento di tre giorni per discutere sul da farsi con tutte le categorie, scegliendo peraltro un’espressione assai infelice (gli Stati generali) che riporta con la memoria alla Parigi del 1789, quando proprio nel mese di giugno i membri del Terzo Stato decidono di abbandonare quell’antica istituzione (ormai anacronistica, basti pensare che si votava per ordine e non per testa) per formare l’Assemblea Nazionale, la cui costituzione avvia il processo di distruzione dell’Ancien Règime.

Insomma al premier scappa un po’ la frizione, verrebbe da dire, anche perché da lì (cioè dalla conferenza stampa di mercoledì) iniziano i guai. Ma perché questa improvvisa accelerazione?

Quasi certamente per il terrore dell’horror vacui, timore mai presente nei lunghi e terribili mesi alle spalle.

Riavvolgiamo il nastro, così tutto ci apparirà più chiaro.

Il governo Conte nasce a fine agosto e vive i primi mesi nella contrapposizione con Matteo Salvini (avere un nemico è essenziale in politica). Quando poi il confronto con il capo leghista perde di forza ecco emergere qualche problema nella coalizione (Renzi all’inizio dell’anno), ma tutto subito viene sommerso dalla necessità di fronteggiare la pandemia.

Adesso però la situazione sta mutando di nuovo e Palazzo Chigi non ha a disposizione una nuova emergenza.

O meglio un’emergenza c’è (l’economia dei prossimi due anni almeno) ma è di quelle durissime da fronteggiare, da cui l’ansia da prestazione che prende il sopravvento e che finisce per generare un progetto affrettato e poco lucido come quello degli Stati generali.

Affrettato perché non è pensabile farne un appuntamento davvero robusto con pochi giorni di preparazione, poco lucido perché la gran parte dei soggetti organizzati che saranno coinvolti (imprese, sindacati) finiranno per usare l’occasione più come tribuna per avanzare critiche e richieste che per evidenziare atteggiamenti concordanti.

Quindi il timore di trovarsi senza ruolo preciso finisce per generare una iniziativa che rischia di evidenziare proprio quello, come d’altronde dimostrano le critiche esplicite di ministri esperti quali Gualtieri, Franceschini e Guerini.

Ora però la frittata è fatta.

Comunque il premier Conte una via d’uscita ce l’ha: presentarsi all’appuntamento con una soluzione (o almeno una parola definitiva) su Alitalia, Ilva, concessioni autostradali e Mes.

Se lo farà avrà vinto il round.

In caso contrario avrà cercato di riempire un vuoto mettendoci dell’aria senza ossigeno.

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