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Robot nello Spazio e dove trovarli. La mappa di Spagnulo

Elon Musk, il miliardario che molte persone amano paragonare al Tony Stark (alias Iron Man) dei film Marvel, sta costruendo l’astronave Starship con cui intende portare centinaia di esseri umani in pochi mesi su Marte e iniziare (parole sue) a fare dell’umanità una specie interplanetaria.

L’esplorazione dello Spazio è un tema affascinante per l’uomo comune, e ognuno di noi prova una forte carica emotiva se cerca di immedesimarsi nell’esperienza extraterrestre degli astronauti che volano al di là dell’atmosfera. Il senso dell’ignoto profondo insieme al coraggio degli uomini e delle donne che lo affrontano, provoca grande entusiasmo e ammirazione e genera un modello d’ispirazione positiva, soprattutto per le giovani generazioni. Questo sentimento è esattamente ciò che vuol trasmettere Elon Musk quando illustra il suo progetto di colonizzazione marziana, e la Starship, l’enorme astronave in grado di trasportare centinaia di persone, ne costituisce il primo fondamentale tassello. Questa nave spaziale in corso di realizzazione ha dimensioni imponenti – cinquanta metri di altezza per nove di diametro – e sarà dotata di sei motori con cui si spingerà lontano dal pianeta Terra. Per raggiungere l’orbita terrestre decollerà sulla cima di un gigantesco primo stadio, il Super-Heavy, alto settanta metri e spinto da trentasette motori, che rientrerà subito a terra su gambe retrattili per poter essere riutilizzato, proprio come già fanno oggi i razzi Falcon 9 della stessa SpaceX. Una volta assemblato, il sistema di lancio sarà alto 120 metri, più del mitico Saturno V delle missioni Apollo.

La Starship, la cui forma ricorda le astronavi dei film di fantascienza degli anni cinquanta, è progettata per trasportare 150 tonnellate in orbita terrestre, oppure per fare dei “salti” orbitali portando merci o passeggeri da un lato all’altro del pianeta a velocità ipersonica in novanta minuti. Ora la SpaceX sta assumendo “ingegneri per operazioni offshore” per costruire le future basi di decollo e atterraggio delle Starship, cioè degli spazioporti galleggiantimobili da posizionare a qualche decina di chilometri dalle coste. In questo modo, la società americana – e il governo degli Stati Uniti – si doteranno di un’incredibile infrastruttura logistica di lanci spaziali e di trasporto ipersonico da un punto all’altro del pianeta.

Le scelte tecnologiche di Elon Musk per i suoi veicoli spaziali lasciano sempre stupiti per la semplicità e l’azzardo, in un mix di soluzioni “disruptive” che sembrano uscite da film di science-fiction. Inizialmente, era previsto che la struttura delle Starship e dei Super Heavy fosse di materiale in fibra di carbonio, poi gli ingegneri hanno ritenuto che l’acciaio inossidabile fosse più economico e fornisse una miglior resistenza al calore. Però le sfide ingegneristiche sono ardite: l’astronave deve resistere a una pressione interna di diversi bar per trasportare a bordo esseri umani, e così alla SpaceX stanno facendo prove di resistenza su prototipi in scala fatti in acciaio inossidabile 304L o 301 (in pratica le tipologie comuni di acciai inox con cui si realizzano molti manufatti comuni, dai serbatoi di gas alle lattine di birra).

I test si svolgono negli impianti della SpaceX a Boca Chica, nel Texas meridionale tre miglia a nord del Rio Grande, una distesa di otto miglia di sabbia incontaminata affacciata sul golfo del Messico, al largo del quale verranno posizionati i primi spazioporti galleggianti. Qualche mese fa, uno di questi test era andato male e la struttura era esplosa accidentalmente, e così qualche giorno fa gli ingegneri della SpaceX hanno ripetuto il test di pressione criogenica su uno dei prototipi, denominato SN7, riempiendolo di azoto liquido raffreddato e pressurizzandolo fino a farlo scoppiare intenzionalmente per verificare il grado di resistenza del materiale.

Subito dopo l’esplosione le telecamere degli appassionati accorsi per assistere da debita distanza alle prove, hanno ripreso qualcosa di inaspettato: Spot, il cane robot prodotto della Boston Dynamics, che si muoveva con agilità tra le nuvole bianche di azoto per ispezionare gli effetti immediati del test grazie ai suoi occhi elettronici, una serie di telecamere termiche che ne incorniciano il “muso”. Se vi interessa acquistare il quadrupede meccanico potete farlo qui, il modello base costa circa 80mila dollari, anche se quasi certamente non avrà tutte le funzionalità dei modelli che sembra siano segretamente in prova presso le forze armate statunitensi.

La Boston Dynamics produce vari tipi di robot e uno, Atlas, è la loro piattaforma umanoide bipede più incredibile, grazie a un avanzato sistema di controllo è in grado di muoversi e mantenere l’equilibrio con un’agilità paragonabile a quella di un essere umano. Alas è alto un metro e mezzo, pesa 80 Kg, ha sistemi idraulici mobili e compatti con motorizzazioni in grado di fornire alta potenza ai ventotto giunti di cui è dotato e che gli permettono una straordinariamobilità e un passo spedito di 1,5 m/s (normalmente il passo umano è di circa 1,2 m/s). La visione sul sito della Boston Dynamics dei diversi video dei robot disponibili induce un sentimento di stupore misto a sano terrore. La domanda sorge spontanea: sarà proprio Elon Musk che dopo essere stato tra i primi acquirenti di Spot (anche se poi il suo esemplare lo ha ribattezzato “Zeus”) per usarlo come operatore a terra negli impianti pericolosi, a comprare le nuove generazioni di Atlas (magari chiamandolo “C1-P8”) per spedirlo in orbita come pilota collaudatore a bordo della Starship?

Si sta preparando una nuova “classe” di astronauti del prossimo futuro, non avranno bisogno di aria, acqua, cibo né di tute pressurizzate per sopravvivere nel vuoto cosmico, sul suolo di Marte o sul terreno accidentato di un asteroide in cerca di metalli rari. Basterà dotarli di un mini RTG (Radioisotope Thermoelectric Generator) al Plutonio 238 per assicurare loro decenni di vita nel Cosmo. E se pensate che anche queste mini batterie atomiche siano oggetti fantascientifici, sappiate che le prime volarono già negli anni sessanta a bordo dei piccoli satelliti Transit della US Navy (pesavano una settantina di Kg l’uno ed erano i papà dei moderni Gps), che erano alimentati proprio da batterie Rtg. Come ebbe a dire il grande Arthur Clarke “…il futuro non è più quello di una volta”.


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