Allarmismo giustificato o ansia da prestazione? Secondo il politologo Damiano Palano, direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica de Sacro Cuore, il Pd rischia davvero di perdere la Puglia, dove si presenta frammentato. Ma il tema va, se possibile, anche oltre le regionali e investe la segreteria Zingaretti, il controcanto di Gori e le scelte future su Colle e maggioranza.
La Puglia è il laboratorio di opposizione al Pd con Scalfarotto in campo?
Potrebbe diventarlo. Non penso però che possa essere il nuovo Nichi Vendola, leader su cui sperimentare dell’altro, ma dalla sua candidatura potrebbe emergere il tentativo di far nascere nuove alchimie politiche. In questa fase è ancora un po’difficile per dirlo, ma la sua candidatura credo vada proprio in questo senso.
Scalfarotto ha detto di candidarsi contro il populismo: una bordata anche al governatore Emiliano?
Emiliano in questi anni ha adottato molta della retorica classica del populismo, definito come il paladino del popolo contro l’establishment. Già nel suo precedente politico come sindaco si presentava come quello capace di riportare all’ordine. Andare contro questo stile può sicuramente avere una spiegazione. In questo periodo, tra l’altro, i populismi non stanno godendo di ottima salute come in passato. Un limite potrebbe essere rappresentato dal fatto che ormai questa retorica ha talmente permeato il linguaggio pubblico, che risulta difficile costruire delle argomentazioni differenti.
Al Nazareno c’è dell’ansia ingiustificata o il pericolo di far passare la regione in mano alla destra è concreto?
Il rischio è concreto: il centrosinistra in campo con 4 candidati comporta alte possibilità di perdere la Puglia. Penso che i timori siano più che giustificati, anche perché dall’altra parte c’è un candidato che, oltre a godere del sostegno dell’intera coalizione, ha un’esperienza di governo significativa che lo fa essere un candidato credibile e forte.
Il senatore dem Alfieri da queste colonne ha proposto un tavolo di maggioranza molto strutturato che ascolti le realtà territoriali. Manca effettivamente questa sintesi?
Di tavoli in questo periodo ne abbiamo visti parecchi, di momenti di sintesi no: questo è mancato e manca al Pd di Zingaretti. È pur vero, di contro, che le istanze territoriali in questa fase non abbiano grande rappresentanza. Ma al di là della necessità di concertare scelte politiche e interessi territoriali mi sembra che il limite dei dem non sia questo.
E quale, tornando all’attacco di Gori?
Al di là della forza o della debolezza del segretario, riguarda altri aspetti. Non dimentichiamo che Zingaretti è stato scelto per le sue caratteristiche di moderazione: una debolezza insita nella sua leadership in cui limite principale, che probabilmente è anche alla base della critica di Gori, risiede nella scarsa capacità del Pd di incidere sul dibattito e di andare a intercettare i vuoti politici che si potrebbero creare. La critica di Gori può avere molte spiegazioni: una di queste riguarda le personali ambizioni in campo, un’altra è relativa al suo territorio. Le posizioni della Lega in Lombardia sembravano inattaccabili e invece negli ultimi mesi stanno girando un po’ a vuoto, con il Pd in una posizione attendista. Non può infatti toccare una serie di equilibri se non mettendo in discussione il governo, le ipotesi di successione al Colle e la stessa maggioranza.
Fratelli d’Italia sale al 16%: è la dimostrazione che un sovranismo intelligente è credibile anche per governare gli enti locali?
Potrebbe avere le carte in regola per presentarsi come un sovranismo più responsabile di quello salviniano. Occorre però tenere conto che tutte le leadership trainanti nell’ultimo periodo sono nate nei territori. Si prenda la Lega, dove per il futuro si fa il nome di Zaia dopo la sua performance alla guida del Veneto. Pertanto un sovranismo responsabile e capace di governare i territori potrebbe anche diventare un’insidia per la stessa leadership di Giorgia Meloni. Una previsione forse forzata ma non trascurabile.