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Stati generali? Buona idea, pessimo tempismo. Di Gregorio spiega perché

Gli Stati Generali – formula fortunata, malgrado la storia si potrebbe dire – sono sempre un’occasione straordinaria di confronto. Straordinaria in senso avalutativo, cioè extra-ordinaria, non convocabili ogni anno.

In condizioni ordinarie si dovrebbe procedere con un programma di governo (se e quando c’è). Per il Covid invece “non avevamo un manuale”, ha detto Giuseppe Conte. E dunque, in astratto, quale miglior occasione per convocarli oggi?

Tuttavia, è importante capire come ci si arriva e a cosa servono. Ipersemplificando, li si può considerare un punto di partenza: il governo convoca tutti gli attori-chiave del mondo produttivo, ne ascolta le proposte, si confronta con essi e poi decide quali iniziative adottare.

Oppure li si può considerare un punto di arrivo: il governo arriva con un “pacchetto” di progetti e ascolta gli interlocutori più importanti per sondare le loro reazioni ed eventualmente modificarli.

Il primo caso implica un percorso lungo e faticoso di confronto e rischia di diventare il trionfo dei veto players, di attori che si “fanno la guerra” tra loro, una “tirannia delle minoranze” in competizione in una negoziazione infinita, con verosimile uno stillicidio di interviste e contro-interviste di accompagnamento che danno l’idea di una gazzarra permanente. E, in ogni caso, serve tempo, molto tempo.

Il secondo caso, invece, limita il menù su cui discutere e, con esso, l’ampiezza, l’intensità e la durata delle polemiche. Meglio ancora sarebbe arrivare agli Stati Generali dopo aver condiviso già un pezzo di strada con gli stakeholders principali del tessuto produttivo nazionale.

Nel caso degli Stati Generali dell’Economia convocati da Conte il fattore tempo è molto importante. Perché la straordinarietà indotta dal Covid ha anche un suo aspetto temporale assolutamente centrale. Non a caso il premier li ha voluti subito e vuole chiudere i progetti entro settembre quando vorrebbe presentare il Piano per la Rinascita dell’Italia.

Tuttavia, chiediamoci appunto: come si arriva a questi Stati Generali? Esiste un menù? E quel menù, data anche la pressione temporale, deve avere certe caratteristiche, non può essere un elenco di priorità condivise e condivisibili (che poi, diciamocelo, sono le stesse da una vita).

Deve essere invece una lista di progetti, con previsione di costi, tempi di realizzazione, modalità di reperimento delle risorse e indicazione delle responsabilità decisionali e organizzative. C’è il cosiddetto Piano Colao, con le sue 102 schede progettuali, che tuttavia non indica tempi e costi, ma si limita a dire cosa è attivabile subito e cosa no e come finanziare i progetti (risorse pubbliche e/o private). Per carità, sarebbe comunque meglio di niente. Ma… a giudicare dalle reazioni politiche, questo Piano sembra più gradito alle opposizioni che alla maggioranza.

Peraltro, l’intera vicenda della task force di Colao è stata vissuta e percepita più come uno strumento del Presidente del consiglio che dell’intero governo.  Ma, a dirla tutta, anche gli Stati Generali dell’Economia hanno assunto questa caratterizzazione. In ogni caso, sembra che siamo molto più vicini al modello “punto di partenza”, dato che non si discute il Piano Colao con gli interlocutori, bensì li si ascolta per provare a trarre indicazioni utili a scrivere un Piano ex novo, magari “miscelato” con quello della task force guidata da Colao.

L’impressione però è che il “fate presto!” che rimbomba da ogni parte nel Paese difficilmente avrà risposte in questi 10 giorni di incontri online. Può avere, nel breve, un benefico effetto sull’immagine del premier, ecumenico e circondato da “menti brillanti” in passerella; cioè può essere uno strumento utile a Conte per incidere sul percepito di massa: L’Europa è con lui, il Fmi è con lui, Fuskas, Farinetti, Tornatore, ecc. sono con lui. Per di più, tutto questo avviene a porte chiuse e dunque con un sistema di gestione delle informazioni centralizzato e preconfezionato, che può tradursi facilmente in 10 giorni di propaganda a uso e consumo del premier.

Questo apre il secondo aspetto-chiave degli Stati Generali. Se, infatti, difficilmente saranno utili in termini progettuali (reali), sicuramente avranno un impatto in termini di immagine del premier (percepiti). Con due caveat però: 1) l’impressione che può emergere da questa comunicazione top-down è rischiosa. Può facilmente diventare una sorta di “gran ballo” delle élite, un Bilderberg all’italiana che potrebbe alimentare risentimento, impazienza e rabbia in chi aspetta risposte. Peraltro, l’opposizione si è chiamata fuori ed è logico attendersi proprio una contro-narrazione di questo tipo da parte dei sovranisti; 2) se anche andasse in porto perfettamente la gestione dell’immagine percepita del premier, quell’effetto durerà comunque poco.

Non siamo in uno scenario ordinario, ricordiamocelo. Siamo in un contesto da PIL a -10%, con un popolo che, sì, continua a dare fiducia al premier che gli racconta che siamo il “modello”, l’esempio per il mondo e con un immaginario “dopato” dagli spot pubblicitari che non fanno altro di dirci che siamo “il popolo che non si arrende”…ma settembre è dietro l’angolo.

In uno scenario ordinario, da campagna permanente, questa specie di “Isola dei famosi” autogestita e a porte chiuse potrebbe anche funzionare e bastare. Ma, con l’orizzonte fosco (e praticamente certo) di un autunno caldissimo, direi proprio di no: senza progetti veri, fallirà anche l’effetto benefico sull’immaginario popolare.

E lo strumento voluto subito per rispondere al “fate presto” diventerà come d’incanto “state sprecando tempo”. Anzi, dopo un solo giorno di lavori, questa lettura sembra già farsi strada. Insomma, è vero che il percepito plasma il reale, ma deve avere le armi giuste per farlo. E talvolta quelle armi passano per il reale, o quantomeno per il progettuale…

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