Il 3 giugno, nel corso della conferenza stampa del premier Giuseppe Conte relativa all’avvio della Fase 3 (o del post Covid-19), è stata annunciata dal presidente del Consiglio l’iniziativa degli Stati generali dell’economia: una convocazione governativa di parti sociali, associazioni di categoria e “singole menti brillanti” per ragionare sulla “rinascita” del Paese e mettere a punto una serie di iniziative, coordinate nel piano di rilancio economico, per la ripresa dei settori più colpiti, nell’economia, nel lavoro e nella società, dal lockdown pandemico.
Una iniziativa che ha un sapore antico, con i tavoli di concertazione della Prima Repubblica, in cui siano presenti forze sindacali, associazioni di categoria, e la riapertura della Sala Verde, sede di tali incontri dagli anni 70, uno spazio, ideale prima che fisico, che sembrava destinato all’obsolescenza programmata dalla disintermediazione e dai suoi cantori più recenti. Un luogo che rinvia ad immagini fumose (nel senso che, prima della legge Sirchia, si fumava ai tavoli di lavoro, che potevano durare più giorni per definire politiche salariali, industriali, territoriali) e ad una serie lunghissima di negoziati combattutissimi tra associazioni di imprese e triplice sindacale, sotto la vigilanza del governo, consapevole dell’importanza di tali processi per evitare scontri sociali e derive di lotta nelle fabbriche e nel Paese. Una stagione impallidita nel ricordo della politica.
Il progetto degli Stati generali dell’economia del 2020, invece, denota una esigenza, tutta contemporanea del governo e in particolare del premier, di riprendere le fila del confronto con le principali forze economiche e sociali del Paese, dopo la difficile stagione di confronto della Fase 1 e 2 dell’emergenza Covid-19. Le tensioni tra governo, sindacati e Confindustria da marzo a maggio sono passate sottotono di fronte alle emergenze sanitarie e alle esigenze imposte dalle politiche per la salute. Nondimeno esse hanno avuto un peso nelle scelte del governo, soprattutto per ciò che concerne alcune rilevanti decisioni circa il blocco delle attività di impresa a marzo, voluto fortemente dal sindacato, e il riavvio della manifattura da maggio, richiesta con insistenza da Confindustria. Una tensione niente affatto sottile, che, negli incontri degli Stati Generali dell’Economia, dovrebbe trovare una sua composizione, ora che il premier è consapevole dell’esigenza di formulare una ripartenza di sistema, in grado di assicurare ricavi e salari per imprese e lavoratori e tasse per le casse dello stato, anche esse indebolite dal lungo periodo di chiusura delle attività in Italia.
Lo scopo dichiarato, insomma, è mettere attorno ad un tavolo, con lavori brevi e focalizzati attorno ai punti fondamentali all’ordine del giorno (se richiedere – o meno – il Mes; come impiegare i fondi, nazionali e di ulteriore provenienza europea (Sure, Recovery Fund), le forze del mondo del lavoro, dell’impresa, per quel piano di rilancio che, nella comunicazione del premier, deve “disegnare il Paese che vogliamo, a partire dallo spirito del 2 giugno”.
La finalità non dichiarata della convocazione di questi attori è di trasformare le tante dichiarazioni fatte su turismo, Pmi, riforme, digitalizzazione, giustizia, taglio alla burocrazia, sostenibilità energetica, scuola e ricerca in dichiarazioni di mandato per il governo Conte fino al termine della legislatura. L’attualità del ripristino della sala verde sta proprio nel concepire questo percorso di riforme di metà legislatura con il consenso attivo delle forze economiche e sociali; inoltre la concertazione può essere eventualmente indicata come la sede in cui sia stata avanzata la richiesta di accedere al Mes, risolvendo un problema politico interno alla maggioranza, divisa sul tema, e un problema di comunicazione di Conte, che in passato ha sostenuto una posizione contraria al ricorso a tale strumento.
Insomma, non è detto che la concertazione, intesa anche come nuova stagione di apertura verso una Confindustria con una presidenza rinnovata e con un mandato molto forte e ben delineato nei confronti delle politiche del governo, non possa essere giocata dal premier come una fonte di consenso economico e sociale per mettere al sicuro i prossimi mesi di governo, arrivare a fine legislatura negoziando con le forze economiche e sociali (ognuna foriera di proprie richieste di riforme e allocazione di risorse) e di risolvere i dissensi interni alla maggioranza politica che lo sostiene. Un approccio molto tradizionale, ma radicato nella cultura politica italiana, per risolvere i problemi post-moderni della incerta fase politica attuale.