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Il governo, i partiti e gli Stati generali. L’opinione di Reina

Molteplici servizi televisivi e giornalistici con articoli e commenti sugli Stati generali, organizzati dal governo Conte a Villa Pamphili a Roma, sono i pochi aspetti pubblici che accompagnano le giornate romane dell’originale evento.

Si tenga ben presente che non sono resoconti dei lavori ma solo racconti esterni. Le contrastanti opinioni sulla loro convocazione stanno appannando l’interesse per l’assise. La memoria storica, interrogata, dà sconfortanti responsi: gli Stati generali convocati in Francia nel giugno 1789 da Luigi XVI si conclusero in un bagno di sangue, ma portarono a epocali cambiamenti, il popolo partecipò da protagonista agli eventi rivoluzionari, legittimando le riforme licenziate dal nuovo potere. Fu la fine dell’assolutismo aristocratico che si reggeva sulla monarchia di Versailles.

Con il fallimento degli Stati generali (per il mancato accordo tra i partecipanti: clero, nobiltà, Terzo Stato) iniziò il tempo del potere borghese che sconvolse gli equilibri politici e istituzionali i cui effetti sono tuttora vivi nelle democrazie occidentali. Sono brevi considerazioni, ma di qualche significato: emerge un protagonismo di popolo, anche se violento nelle sue manifestazioni, che sancirà il nuovo corso della storia chiamato democrazia.

Gli Stati generali indetti dal governo e Colao a Roma, invece, sono privi di qualsiasi legittimazione popolare. Sono una iniziativa autonoma del governo Conte in accordo con alcuni esperti che si sono ritrovati a palazzo Chigi per vicende legate al coronavirus. Si potrebbe dire per una pura casualità. L’assemblea di Villa Pamphili, in sostanza, evidenzia la scarsa capacità delle istituzioni di considerare fondamentale l’interesse generale, fatto soprattutto di quello popolare. La volontà politica, sintesi delle varie espressioni, e scaturigine concreta di elaborazioni e di proposte dei partiti non è proprio esistita, perché i partiti, tutti i partiti allo stato sono solo dei contenitori vuoti. I tecnocrati, approfittando dell’assenza della politica e delle vicende collegate al coronavirus si sono appropriati di uno spazio improprio.

È verosimile allora l’idea che gli Stati generali, convocati da Conte a Roma, si siano tenuti grazie alla volontà di chi aveva necessità di legittimare lobby tecnocratiche, cui affidare (con pensiero recondito!?), il governo del Paese. Bisogna essere preoccupati, se è davvero così. Significa che gli attuali partiti devono prendere atto del proprio fallimento: dopo venticinque anni di roboanti proclami, evocando nuovismi, rivoluzioni liberali e ripristino della moralità nella vita pubblica, si sono mostrati incapaci di compiere scelte minime di governo, delegando il proprio ruolo a gruppi lobbistici, privi di legittimazione popolare.

E allora, tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione, facciano un profondo atto di umiltà, lascino a partiti più dotati, dal punto di vista culturale e politico, il campo. Una stagione lunga cinque lustri basta per essere ritenuti insufficienti.


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