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Piani, ripiani e spianate. Gli Stati generali (e Colao) secondo Giacalone

Il piano Next Generation Eu (ex Recovery), che prevede indebitamento comune e spesa per propiziare una ripresa che aiuti a rendere gestibile la crescita del debito pubblico, è ancora oggetto di negoziato. Non credo sia beneaugurante il fatto che uno dei Paesi che più dovrebbe beneficiarne si diletti in sovrapposizioni di piani tanto vasti quanto poco dotati di strumenti operativi, discettando di mille cose anziché proporre priorità, il tutto continuando a ripetere che si tratta di “occasione storica e irripetibile”, giacché si tratta di indirizzare un “fiume di soldi”. Sembra uno scenario ideale per chi voglia opporsi, più per chi voglia giovarsene.

Datosi che i libri delle doglianze e dei sogni sono stati scritti e riscritti mille volte, talora scopiazzando, alla fine molti provano a intestarsi le stesse cose, nell’uno e nell’altro ramo. Occorrerebbe applicarsi a un tema diverso: cosa fare subito, quanto costa, quanto rende, incaricandone chi, controllando come e, infine, rendicontando il risultato. Probabilmente noioso e meno affascinante, ma è la differenza che corre fra il fantasticare un menù e il cucinare roba commestibile.

Faccio un esempio concreto. Nel piano Colao, nel piano del governo (incredibile che il governo pubblichi un piano, spianando la strada a chi sospettava mancasse), come dei ripiani di quasi tutti i compitatori di piani, spicca la rete di comunicazione: connettività per tutti, ad alta velocità, fibra ottica ovunque, 5G al più presto. Conoscete qualcuno, terrapiattisti e ondivaghi tremuli delle onde a parte, che pensi il contrario? Il tema è: chi, quanto, come, con che tecnologia.

Vedo ricorrere il concetto di “rete unica”. La rete fissa è in casa Tim, le reti mobili sono in concorrenza. La rete fissa è a dir poco invecchiata, mentre il suo motore è farcito di pezzi tecnologici di varia provenienza, Cina in primis. Quando si parla di “rete unica” s’intende che gli operatori in concorrenza devono trovare un accordo o che lo Stato si riprende quel che vendette in ottime condizioni e che ora si ritrova scassato? Nel primo caso la cosa da farsi è propiziare l’accordo, anziché strologare di bit a camionate e veloci come la luce. Nel secondo occorre spiegare al contribuente che lo si carica di nuovo debito per ripagare quel che già aveva pagato, così risollevando i corsi azionari alquanto mal ridotti e, magari, favorendo l’uscita di soci che, ai valori attuali, non possono che stazionare, per non dovere fare i conti con una perdita secca di ricchezza. In questo caso c’è un solo rischio: che il contribuente capisca quel che significa.

Se fanno l’accordo fra gestori suppongo si forniscano loro finanziamenti agevolati, lasciandoli liberi di scegliere la tecnologia e rendicontando poi per punire una eventuale (nuova) promessa tradita. Se l’investimento lo fa lo Stato sarebbe lecito chiedere prima a quale fornitore non italiano intende rivolgersi, considerando mero gargarismo il sentir ripetere che debba essere il migliore, più conveniente e che sia garantita la sicurezza dei dati. Tutta roba che non significa niente.

Colao è del mestiere. Chi governa non lo fa di mestiere, ma un’idea dovrebbe essersela fatta, dopo due anni. Dite che impostare le cose in questo modo è brutalmente materiale, rispetto al volar alto delle nobili idee rivolte al futuro? Può essere, ma la probabilità che i novelli aviatori (per giunta già lanciati a ririripagare Alitalia) propizino la volatilizzazione dei soldi e l’atterraggio atterrante del debito, ideando un futuro che somiglia al peggiore passato, è troppo alta per potere essere scartata.

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