“L’accordo con la Cina è pienamente integro. Speriamo che [i cinesi] continuino a rispettare i termini dell’intesa”, ha scritto Donald Trump su Twitter. Il messaggio del presidente statunitense non è tanto rivolto a Pechino in questo caso, quanto a Washington. Esattamente il tweet doveva essere recapitato all’Eisenhower Executive Office Building dove si trova, tra gli altri, l’ufficio di cinque persone – creato per volontà di Trump – guidato da Peter Navarro, l’Otmp.
Nel mondo degli acronimi, Otmp sta per Office of Trade and Manufacturing Policy, ossia Navarro è uno dei top consulenti del presidente per quanto riguarda il commercio. È stato lui a condurre molte delle trattative con la Cina per arrivare all’accordo commerciale stretto all’inizio dell’anno, e sempre lui – due giorni fa – a dire che quello stesso accordo “è finito”.
In un’intervista a Fox News, la rete preferita dal presidente e dai suoi elettori, ha fatto capire che è anche questione di fiducia: abbiamo iniziato a sapere del coronavirus il 15 gennaio, quando abbiamo siglato l’intesa, ha spiegato, “quando ormai avevano mandato centinaia di persone a diffondere il virus nel nostro Paese”, ha aggiunto parlando della delegazione cinese che aveva viaggiato negli Stati Uniti per chiudere il deal.
La dichiarazione di Navarro è stata un micro-terremoto per i mercati finanziari di lunedì, fortunatamente arrivata mentre le contrattazioni erano in chiusura. Il rilancio via Twitter di Trump ha avuto anche lo scopo di rassicurare gli investitori e il mercato. Questo d’altronde era l’obiettivo sostanziale della “Fase 1”, come era stata definita l’intesa di gennaio (termine pre-pandemico, ndr). Serviva a rassicurare tutto il mondo economico-finanziario attraverso un accordo preliminare che avrebbe permesso ai due giganti di prendere tempo per un assestamento.
Inoltre, arrivare a chiudere un framework agreement con la Cina poteva essere un ottimo strumento elettorale. Pechino è il rivale strategico totale americano, ma Trump ha sempre dimostrato l’intenzione di accordarsi con uno dei nemici dell’America. Eredità da lasciare al Paese e su cui rivendicare qualità da artista del deal (parafrasando il suo più celebre libro, “The Art of the Deal”).
Quella pubblica, via Twitter (megafono che Trump usa per arrivare direttamente alla sua constituency, disintegrando l’intermediazione), è stata l’uscita pubblica più netta in difesa dell’accordo. E arriva in una fase in cui lo stesso sembrava effettivamente messo in discussione dalla crescente retorica offensiva con cui gli Usa hanno affrontato Pechino: dalle responsabilità sul virus alle violenze a Hong Kong, e su tutta una serie di dossier in cui Washington ha dimostrato di voler ingaggiare la Cina a tutto tondo.
Inoltre arriva mentre alcuni agricoltori americani si sono lamentati con la Casa Bianca del ritardo cinese nell’acquisto dei quantitativi fissati nell’accordo, sostenendo che gli acquirenti dalla Cina (molte aziende di Stato) stanno sostituendo prodotti come la soia americana acquistandoli dal Brasile. “Ogni indicazione è che, nonostante questo Covid-19, faranno quello che dicono”, era stata la difesa, durante una testimonianza al Congresso, di Robert Lighthizer, rappresentante al Commercio americano, tra gli architetti del deal.
“Sto semplicemente parlando della mancanza di fiducia che ora abbiamo del Partito Comunista Cinese dopo che hanno mentito sulle origini del virus cinese e hanno lanciato una pandemia sul mondo”, ha detto Navarro alla Fox, sovrapponendo la situazione dell’accordo commerciale con uno dei principali punti di scontro attuali tra Washington e Pechino.
Tutto, infine, arriva mentre oggi, 23 giugno, esce in libreria il libro dell’ex consigliere alla Sicurezza nazionale, John Bolton. Testo su cui c’è stato un gran dibattito, che mostra – ancora una volta – come la presidenza e l’amministrazione Trump siano piene di crepe. Uno dei passaggi più ripresi e controversi, peraltro, è quello in cui Bolton accusa il presidente di aver raggiunto un accordo con il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping. Pechino, secondo Bolton, avrebbe dovuto acquistare prodotti agricoli statunitensi per aiutare Trump a vincere alle elezioni di novembre.