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Hacking contro gli ospedali. L’Ue punta il dito contro Pechino

Disinformazione e attacchi informatici contro gli ospedali sono le sfide della relazione tra Unione europea e Cina: “Abbiamo detto chiaramente che ciò non può essere tollerato”. È quanto dichiarato oggi in conferenza stampa dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, appena terminato il ventiduesimo summit Ue-Cina assieme al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il presidente cinese Xi Jinping e il premier cinese Li Keqiang.

Pochi giorni fa l’Unione europea — come spiegato da Formiche.net — ha presentato la sua strategia contro la disinformazione dichiarando che “attori stranieri e alcuni Paesi terzi, in particolare Russia e Cina, si sono impegnati in operazioni di influenza mirata e campagne di disinformazione nell’Unione europea, nel suo vicinato e nel mondo”.

Ma è la prima volta che Bruxelles nomina gli autori degli attacchi informatici contro gli ospedali, tattica che ha trovato un formidabile alleato nel Covid-19 e l’emergenza, che ha anche spinto diverse aziende cinesi a offrire le proprie tecnologie alle strutture mediche di diversi Paesi occidentali. Anche all’Italia: basti pensare che, come raccontato da Formiche.net, a marzo l’amministratore delatore di Huawei Italia, Thomas Miao, spiegava che l’emergenza dimostra “il ruolo assolutamente strategico” del 5G nel nostro Paese rilanciando il piano per il cloud negli ospedali: “Il servizio combina informazioni cliniche e risultati di laboratorio per aiutare i medici”, diceva.

I DOSSIER PIÙ CALDI

L’agenzia Reuters ha ricordato i temi principali sul tavolo. Il primo è il commercio: l’Unione europea si aspetta maggior reciprocità dalla Cina (in particolare nei settori automobilistico, biotech, telecomunicazioni e informativo) e teme che la fase uno dell’accordo tra Washington e Pechino possa penalizzare i 27. Il secondo sono le scalate estere: come raccontato da Formiche.net la scorsa settimana l’Unione europea ha acceso un faro su sussidi e investimenti esteri (in particolare ma non soltanto dalla Cina), venendo tacciata di protezionismo dai diplomatici di Pechino. Il terzo è il clima: la Cina contribuisce a più di un quarto delle emissioni mondiali di carbonio ed è una delle poche nazioni industriali dove continuare a crescere — elementi poco compatibili con i nuovi progetti verdi dell’Unione europea. Il quarto è la già citata disinformazione, assieme al mondo digitale: la Cina spaventa i 27 anche per le mire delle sue aziende sostenute dallo Stato su aree cruciali come microelettronica e intelligenza artificiale.

UNA TERZA VIA EUROPEA?

Per il premier Li Keqiang, invece, Cina e Unione europea sono più “partner” che “competitor”. Una dichiarazione che sembra una risposta alla definizione europea della Cina come “partner strategico ma rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi” più volte rievocata in questi mesi di frizioni su Hong Kong e Covid-19, ma anche sul 5G. Pressata dagli Stati Uniti per adottare una linea più dura sulla Cina, l’Unione europea continua a professare una sua terza via fondamentale, questa è la linea della Commissione, per diventare finalmente un attore globale. Basti pensare che l’Alto rappresentante Josep Borrell, intervenendo oggi al Brussels Forum del German Marshall Fund, ha ribadito che Bruxelles deve scegliere “his own way”, la sua via, nella contesa globale fra Cina e Stati Uniti. Su una cosa, come riportato da Formiche.net, l’Alto rappresentante concorda con il presidente statunitense Donald Trump: “Gli europei sono stati naïve con la Cina, su questo sono d’accordo. Quando è entrata nel Wto, abbiamo pensato che, diventando un player globale, avrebbe dato avvio a cambiamenti politici interni. Non è andata così”.

LE INCOGNITE SULL’INTESA COMMERCIALE

La presenza del presidente Xi Jinping e l’ottimismo del premier diffuso dalle agenzie di stampa cinesi sembrano dimostrare la fretta di Pechino per l’accordo commerciale i cui negoziati sono stati inaugurati nel 2014. Entrambe le parti fino a pochi mesi auspicavano la firma entro la fine del 2020. Poi è arrivato il Covid-19, che ha fatto saltare l’appuntamento di settembre nella città tedesca di Lipsia, che avrebbe dovuto celebrare l’intesa. 

Per la Germania è una corsa contro il tempo: dal primo luglio, infatti, spetterà a Berlino il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. L’obiettivo della cancelliera Angela Merkel è quello di tenere sotto la presidenza tedesca la firma dell’atteso accordo. Il fatto che il vertice di oggi sia terminato senza un comunicato congiunto sembra rivelare difficoltà insormontabili in sei mesi. Ma nonostante questo, con un occhio al voto statunitense di inizio novembre, Berlino spera ancora di ospitare entro fine anno il summit previsto a Lipsia. 



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