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Usa-Cina, verso il disgelo? Prova generale di dialogo alle Hawaii

Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, incontrerà alle Hawaii il principale diplomatico cinese, Yang Jiechi, cercando di allentare le tensioni tra le due maggiori potenze del mondo, ai ferri corti su più fronti. È il primo meeting di questo livello da diversi mesi.

Il faccia a faccia non fa parte delle agende ufficiali, ma qualcuno ha spifferato l’incontro a Politico. Con ogni probabilità il motivo per cui il vertice doveva rimanere segreto è legato alla narrazione. Cina e Stati Uniti sono in una fase di scontro intenso, usata anche nell’ambito del dibattito politico interno da entrambi i governi — la Cina è il grande nemico che ha appestato il mondo col coronavirus, per dirne una; gli Usa sono il nemico naturale con cui competere per il dominio delle sfere di influenza mondiali.

Pompeo è stato tra i più critici con la Cina su una serie di questioni, dalle origini della pandemia alla politica del Partito Comunista su Hong Kong, fino al trattamento delle sue minoranze etniche e religiose (su cui il dipartimento di Stato guida l’attacco americano sul piano dei diritti e dei valori).

Reuters ha cercato conferme del meeting tra l’ambasciata cinese a Washington e Foggy Bottom (sede della segreteria di stato), ma non ha ricevuto risposte alle richieste di commento.

Il South China Morning Post (quotidiano di Hong Kong, di proprietà di Jack Ma di Alibaba, sempre molto informato sulle faccende asiatiche) ha citato invece una fonte anonima secondo cui Yang, consigliere di stato e membro del Politburo del Partito, sarà la parte cinese dell’incontro.

Dando dunque per scontato il meeting, che potrebbe essere un passaggio importante nelle dinamiche di questa guerra nuova (definizione provvisoria per non cadere nell’uso del termine “Guerra fredda”, semplificazione comune quanto errata di questi scontro tra i due giganti. Ndr)

Le relazioni tra i Paesi sono peggiorate negli ultimi mesi, crepe messe a nudo dall’epidemia e dalle conseguenze collegate; addirittura il presidente Donald Trump ha affermato che i rapporti tra i due Paesi potrebbero persino interrompersi. Difficile comunque, vista l’entità delle interconnessioni esistenti, una delle varie condizioni che differenzia l’attuale situazione dalla Guerra Fredda.

Pompeo ha dichiarato il mese scorso che la Cina avrebbe potuto prevenire la morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo essendo più trasparente nei confronti del coronavirus. Parole che seguono accuse americane sul rifiuto di condividere informazioni: Pechino avrebbe impedito agli altri Paesi di rispondere con prontezza alla crisi oscurando i dati per interesse personale.

Il segretario di Stato americano ha anche affermato che i piani cinesi di imporre leggi sulla sicurezza nazionale a Hong Kong sarebbero il punto di svolta nel “braccio di ferro” per disintegrare la semi-autonomia dell’ex colonia britannica.

Il governo cinese da parte sua ha accusato la Cia di aver fomentato le proteste di Hong Kong lo scorso anno, e i media di Stato hanno fatto circolare l’ipotesi che il coronavirus fosse stato creato dagli Stati Uniti per destabilizzare (incolpandola) la Cina. Operazioni di disinformazione veicolate spesso tramite le ambasciate e dirette dal ministero degli Esteri.

Questi sono i presupposti all’incontro hawaiano, in mezzo una serie di competizioni militari (dal Pacifico all’Artico, dall’Asia centrale al Mediterraneo fino al Sudamerica); un duello per il dominio tecnologico del pianeta; uno scontro tra le due maggiori economie; un confronto globale su sistemi statuali, modelli valoriali e culturali.


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