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Perché per gli Usa le milizie in Libia sono una minaccia

Ci sono un migliaio di miliziani libici (e non solo libici) che per gli Stati Uniti sono inammissibili: il Gna, il governo onusiano, dovrebbe fare in modo di allontanarli, escluderli, isolarli, eliminarli. È questo ciò che emerge dai readout discreti della videocall riservata che l’amministrazione Usa (nel caso Consiglio di Sicurezza nazionale, dipartimento di Stato e AfriCom, schema solito di coloro che seguono il dossier) ha avuto mercoledì 24 giugno con il ministro degli Interni, Fathi Bashaga. La “smobilitazione delle milizie”, come scrive la nato diplomatica americana, è una necessità: ora, finito l’assedio di Tripoli – grazie alla ritirata dell’aggressore, Khalifa Haftar – si apre “una rinnovata opportunità e un imperativo per affrontare le milizie, a ovest e ad est della Libia”.

Washington specifica nel comunicato che una conversazione analoga verrà tenuta anche con l’Lna, ossia la milizia haftariana che contiene anch’essa miliziani siriani assadisti mobilitati in Libia dalla Siria per volontà turca, e gruppi di combattenti salafiti con tendenze ultra-radicali. La sottolineatura importante, perché all’inizio della settimana, lunedì 22 giugno, gli americani avevano fatto tappa in Libia e l’incontro o meno con uomini di Haftar era diventato un giallo. Dalla Cirenaica annunciavano la visita, qualcuno confermava anche dalla Tripolitania, gli americani restavano in silenzio, mentre alla fine da Tripoli arrivava una smentita ufficiale.

Washington dimostra comunque che il proprio interesse centrale non si lega tanto alle dinamiche intra-libiche, quanto a un quadro di sicurezza di livello superiore. Sul lato della Tripolitania, la Turchia, ha spostato miliziani siriani dei gruppi ribelli: alcuni sono islamisti, come anche altre milizie tripoline. Per gli Stati Uniti il problema è concreto, anche perché contemporaneamente in Libia – durante questi 14 mesi di assedio di Tripoli – sono arrivate tantissime nuove armi. Strumenti che poi sono stati abbandonati nella ritirata haftariana, e ora sono finiti in mano ai gruppi che difendono il Gna. Il rischio è che questi possano poi facilitarne la vendita sul mercato nero – non solo quello libico, ma quello ben più ampio e pericoloso del Sahel – e che dunque certi armamenti sofisticati finiscano in mano a gruppi estremisti.

La fase di stabilizzazione in corso è delicatissima, perché potrebbe aprire a uno scontro proxy tra potenze straniere molto più duro del conflitto civile, e il rischio di un aumento del caos potrebbe favorire le dinamiche dei gruppi terroristici. Washington, secondo le informazioni fornite a Formiche.net da fonti discrete, avrebbe incassato l’appoggio del Gna – già a lavoro per smobilitare le entità armate più spinte – e della Turchia. Il punto però è quello che su queste colonne ha sottolineato l’esperta della Brookings Institution Federica Saini Fasanotti: ” I gruppi armati sono formati da ragazzi e sono diventati un fenomeno antropologico, non solo sociale. Tenderanno a combattere perché nel conflitto hanno trovato il loro humus, il loro status sociale”.



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