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Usa2020, la sfida di Trump e Biden in un’America divisa. L’analisi di Silvestri

Donald Trump ha una legittima ambizione: vorrebbe essere rieletto presidente per altri quattro anni. Purtroppo, però, i sondaggi non sono a suo favore. Naturalmente, manca ancora molto tempo al fatidico 3 novembre, per cui la situazione potrebbe cambiare. Il problema di Trump, oggi, è che non sembra pensare ad altro, sacrificando a questo obiettivo ogni altra priorità, interna o internazionale. La somma dei suoi errori, ad esempio la sua pessima, e a tratti ridicola, gestione della pandemia di Covid-19, è impressionante, ma è certamente piaciuta alle numerosissime frange “negazioniste” e “complottiste” del suo elettorato. Spesso Trump dice cose apparentemente assurde, ma che in realtà si rivolgono ad una solida minoranza che già le pensa, per assicurarsi la loro fedeltà elettorale.

Lo stesso si può dire dei pronunciamenti violenti e divisivi con cui Trump sta rispondendo alle proteste pacifiche e alle sommosse che infiammano le città americane. L’obiettivo è sempre quello di apparire come l’uomo che ha la risposta decisiva e la forza necessaria per imporla. Poco importa se in questo modo, invece di contribuire a spegnere gli incendi, il presidente soffia sul fuoco.

Non è una strategia del tutto nuova. Richard Nixon, ad esempio, malgrado il Watergate e una pessima stampa, riuscì a farsi rieleggere per un secondo mandato (anche se poi dovette dimettersi per evitare l’impeachment), su una durissima piattaforma di legge e ordine, che attirava i consensi di una classe media spaventata. I due casi non sono realmente comparabili, ma certamente Trump sta cercando di sfruttare la paura per accrescere i suoi consensi. Aveva cominciato con la paura degli immigrati, per continuare con la paura della globalizzazione, e poi la paura dei cinesi, rispolverata alla grande allo scoppio della pandemia, ed ora la paura dei saccheggi e soprattutto dei “neri”.

Poco importa se in questo modo la società americana si frantuma, se aumentano la violenza e il razzismo e si rafforza il terrorismo dei gruppi suprematisti. Un elettorato diviso, impaurito e confuso è anche più malleabile e potrebbe cedere al mito dell’uomo della provvidenza.

A questo avventurismo interno si aggiungono alcune perle di avventurismo internazionale. Continua così il sistematico processo di rottamazione degli accordi sulla riduzione e il controllo degli armamenti, e sulla fiducia reciproca, sempre in nome di una supposta riconquista della piena libertà d’azione americana. Peccato che, sino ad ora, a profittare di queste rottamazioni siano stati soprattutto gli avversari, a cominciare dalla Russia. In questa stessa vena Trump sta attuando un rapido rientro di truppe americane, dall’Afghanistan, ed ora anche, a sorpresa, dalla Germania, dove ha deciso unilateralmente di ridurre di circa un terzo la presenza militare Usa. Con buona pace della Nato.

Quello che manca ancora a Trump è un messaggio positivo, ed egli sembra volerlo cercare nella ripresa economica dopo la gravissima crisi della pandemia. Si spiega così la sua esultanza di fronte a un dato (che si è poi rivelato sbagliato di grosso, ma poco importa la verità, tutto è nell’annuncio) che indicava un forte calo della disoccupazione. Mentre alcuni economisti parlavano prudentemente di una possibile ripresa a V, il presidente già affermava che era molto di più: era una ripresa a razzo.

Joe Biden si situa esattamente all’opposto di Trump. È uno scontro tra due modelli opposti di fare politica. Dove Trump vuole dividere, Biden ha sempre lavorato per unire. Uno vuole lo scontro, mentre l’altro ricerca sempre prima il compromesso. I due personaggi sono talmente diversi che il loro scontro rischia di diventare caricaturale. E per i sostenitori dei due candidati è sin troppo facile sottovalutare i punti di forza dell’avversario.

In realtà, Biden sembra perfettamente consapevole del problema, avendo assistito, quattro anni or sono, all’inattesa e traumatica sconfitta di Hillary Clinton. L’attenzione che dedica agli Stati chiave persi dalla Clinton per una manciata di voti, dalla Pennsylvania al Wisconsin o alla Florida, non lascia dubbi in proposito. Lentamente, ma continuativamente, i sondaggi nei cosiddetti “swing States” stanno tutti girando a suo favore.

Egli può certamente contare su una vasta platea di elettori che rifiutano Trump, ma il suo problema è quello di convincere gli elettori, in particolare i più giovani e gli afroamericani, a non disperdere il loro voto su candidati di bandiera che non hanno alcuna possibilità di giocare un ruolo, come avvenne nel caso della Clinton, con conseguenze disastrose.

Molto potrebbe dipendere da chi egli sceglierà come suo vice. In questo momento gli osservatori sembrano tutti convinti che nominerà una donna afroamericana. Le candidate in pole position sembrano due: Kamala Harris, senatrice della California, e Val Demings, eletta alla Camera nella circoscrizione di Orlando, in Florida. Ambedue donne e ambedue afroamericane. La scelta non sarà facile (il che lascia spazio per qualche altro aspirante).

Da un punto di vista meramente elettorale, Demings ha il vantaggio di venire da uno Stato conteso, mentre la California voterà comunque Biden senza problemi. Ma c’è anche la questione dell’età di Biden (78 anni a novembre) e dei suoi passati problemi cardiaci. Il vice potrebbe improvvisamente divenire il numero uno: quale delle due appare come più presidenziale? Lo stesso Biden, con un lunghissimo passato da senatore del Delaware, potrebbe sentirsi più a suo agio con Harris.

Una cosa è certa: questa non sarà una elezione facilmente prevedibile. Dovremo aspettarci di tutto e di più, nel bene e nel male. C’è solo da sperare che durante la prossima estate calda, mentre ancora i nostri Paesi staranno riprendendosi dalla crisi, qualcuno non cerchi di approfittare della confusione e della distrazione americana per mettere a rischio la sicurezza globale.

Articolo tratto da Affari Internazionali


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