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Tra Washington e Pechino? C’è la Libia. Molinari spiega perché

Fredda o meno, è una guerra. Non si combatte con armi convenzionali. Non solo, perlomeno. Dal digitale al commercio, dalle telecomunicazioni agli investimenti diretti esteri, quella in corso fra Stati Uniti e Cina è molto più di una “competizione”.

Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, già direttore de La Stampa, per cui è stato a lungo inviato a New York e a Gerusalemme, non esita a parlare di “assedio”. Così ha intitolato la sua ultima fatica editoriale, “Assedio all’Occidente” (La Nave di Teseo). Assediato è un sistema politico, economico, culturale. Non tanto valoriale, come accadeva ai tempi dell’Urss. E forse qui sta una prima, grande differenza che suggerisce di non scomodare tanto facilmente l’epoca della Cortina di Ferro. La sfida cinese è altra cosa.

Una tara si è fatta (virtualmente) al Centro Studi Americani di Roma. A presentare il libro con l’autore, la vicepresidente di Aspen Marta Dassù, lo storico Mario Del Pero, Luciano Caracciolo, fondatore di Limes, il giornalista del Corriere della Sera Maurizio Caprara a moderare.

“La loro sfida è molto diversa da quella russa – ha detto Molinari – i cinesi vogliono modificare l’equilibrio internazionale, ma lo vogliono fare in una maniera rivoluzionaria e senza precedenti. Sostanzialmente ci studiano per copiarci ed essere migliori di noi in tutto quello che facciamo”. Per dirla con un’altra immagine, lo scontro Cina-Occidente ha preso le sembianze di “una di quelle guerre nel deserto, in Medio Oriente, dove vince chi conosce meglio il terreno, e l’avversario”.

E i cinesi, assicura, “ci conoscono molto bene, meglio di quanto noi non conosciamo loro”. È un modus operandi che non si limita all’Europa e agli Stati Uniti. “Mi è capitato di parlare con degli imprenditori di Cuneo che mi hanno raccontato come hanno perso le loro attività in Nigeria, una roccaforte commerciale per le aziende nel cuneese. Nell’arco di una settimana e poco più, si sono presentate aziende cinesi che facevano, meglio e a un prezzo minore, gli stessi loro prodotti. In una manciata di giorni hanno bruciato un sistema di mercato costruito in decenni. Questo è l’avversario che abbiamo di fronte”.

Parlare di Guerra Fredda resta un paragone azzardato, ha spiegato Del Pero con l’occhio dello storico, che lo rende “scettico sull’utilizzo di queste analogie”. Perché? “La Guerra Fredda era un sistema semplice, chiaro, con frontiere ben demarcate, e senza l’ombra dell’interdipendenza globale che abbiamo oggi”. Se un’analogia si può trarre, è che anche in questo scontro gli Stati Uniti hanno i pronostici a favore. “Rimangono l’egemone naturale, impongono le regole, possono staccare da un giorno all’altro un assegno da 200 miliardi di dollari”.

Il nuovo braccio di ferro fra superpotenze trova al centro un’Europa impreparata, divisa, debole, sentenzia invece Caracciolo. “L’Ue, in particolare, ha al suo interno visioni geopolitiche incompatibili, come quella francese e italiana, e la Libia ne è la prova del nove. Turchia, Russia e altre potenze avversarie o non allineate agli Stati Uniti si stanno proiettando in tutta la fascia mediterranea, ormai sono nel canale di Sicilia. Mi domando fino a che punto gli americani possano tollerarlo”.

Non è più generoso il bilancio della Dassù, già viceministro degli Esteri. “La determinazione americana a sostenere il vecchio sistema è entrata in discussione. La Cina esce indebolita dalla Cina, si può aprire un’occasione per l’Europa, a patto che sia in grado di cogliere anch’essa la portata della sfida geopolitica”. Il risveglio può partire dal cuore del Vecchio Continente, a Berlino. “Non era scontato né prevedibile che la Germania di Angela Merkel decidesse di imprimere una svolta politica alle trattative. Vedremo chi la seguirà”.



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