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Mes, regionali, legge elettorale. Ignazi legge la corsa a ostacoli del governo

Un traguardo, il Quirinale, nel 2022. E un tesoretto di 209 miliardi di euro da allocare. Sono questi i due estremi fra cui dondola il pendolo del governo Conte bis, dice a Formiche.net Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna. Ma da qui alla corsa per il Colle gli ostacoli non mancano.

Professore, la festa dei fondi europei è già finita. Ora la maggioranza è divisa su come, quando e dove spenderli.

Quale maggioranza? Non abbiamo una maggioranza politica. Esiste, semmai, la famosa maggioranza Ursula, che vive di sponda con l’Europa. Lì, a Bruxelles, Conte è molto più forte di quanto non lo sia in patria, e ottiene risultati. Qui, a Roma, la sintesi è meno facile.

Però Conte resta in sella. E sembra anche più forte di prima.

Questo lo sappiamo, non ci sono alternative a Conte, tranne le elezioni ovviamente. Una certezza granitica che da un lato rende impermeabile il governo, dall’altro rende molto permeabile la maggioranza ai conflitti e le faide interne, perché il premier non ha paura di dire la sua.

C’è davvero qualcuno che vuole le elezioni?

Al governo, va da sé, nessuno le vuole, non convengono. All’opposizione sia la Meloni che Salvini, per due motivi. Perché sono un’occasione per chiarire una volta per tutte i loro rapporti di forza nel centrodestra, e con Forza Italia, ma anche perché c’è un tesoretto di 209 miliardi di euro da allocare. Una grande opportunità.

Ma, parola di Gentiloni, non se ne parla prima del 2021. I soldi del Mes arriverebbero prima, anche se non tutti li vogliono…

Un’ostinazione davvero incomprensibile. Le motivazioni con cui ci si oppone al Mes sono semplicemente delle fandonie. Conte continua a procrastinare, vuole evitare fino all’ultimo di mettere un dito nell’occhio al Movimento Cinque Stelle.

Intanto prepara la sua task force, e c’è già chi lo accusa di agire in solitaria.

Strano. Francamente ricordo di aver letto per anni sui giornali che i governi italiani sono dotati di scarsa capacità decisionale, qualcuno che oggi ammonisce sui pieni poteri diceva che il premier, in Italia, ne aveva pochi rispetto ai colleghi europei. La verità è che il governo può e deve dettare la linea. Il problema, semmai, è avere un’amministrazione efficace.

Si avvicinano le regionali. Goffredo Bettini ha lanciato di nuovo la proposta di un’alleanza organica fra partner di governo. Può funzionare?

Difficile fare un’alleanza organica con chi ha così pochi punti in comune. L’ostruzionismo arriva soprattutto dal Movimento. Non c’è accordo se prima non c’è chiarezza fra le componenti interne che in questi giorni si stanno dividendo di fronte al bivio di un patto politico. Lo stesso Di Maio, che è un bravo navigatore, non sa come muoversi. Mi sembra chiaro che un’alleanza converrebbe, almeno per evitare le brutte figure fatte in passato.

Zingaretti è entrato in pressing sulla legge elettorale. Perché accelerare ora?

Perché la legge elettorale detta le regole del gioco, la mano va forzata tutti i giorni. Se non si decide ora, quando arriva il momento non si governa. Prima si approva, meglio è.

Professore, su questa legislatura aleggia come un fantasma l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. È quello il vero traguardo del governo?

Certo, la legislatura è attaccata alla spina della partita per il Quirinale. Dopotutto è questo il motivo per cui è nato il governo Conte-bis: tenere i sovranisti alla larga dal Colle, con la benedizione di Bruxelles, Berlino, Londra, Parigi. E anche Washington, ricordiamo tutti quel “Giuseppi” twittato dalla Casa Bianca.

A un anno di distanza però i sovranisti italiani sono in salute, sono solo cambiati i rapporti di forza. Come si spiega la cavalcata di Giorgia Meloni?

Già quattro anni fa, quando Berlusconi impedì che arrivasse al secondo turno delle comunali a Roma, era chiaro che sarebbe stata l’astro nascente della destra. È giovane, diretta, sa parlare. E soprattutto incarna una tradizione politica radicata, di una destra che chiede uno Stato forte. L’esatto contrario della Lega, che prima fa lo stesso, poi vuole più autonomia, in un cortocircuito che non funziona più come prima sugli elettori.

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