Skip to main content

Svolta nel 5G europeo, Londra bandirà Huawei. E l’Italia?

Altro che lettera morta, come sperava Pechino. La missiva scritta sul Telegraph in occasione delle celebrazioni per il 4 luglio dall’ambasciatore statunitense nel Regno Unito, Robert Wood Johnson, sembra aver sortito gli effetti sperati da Washington. Come raccontato da Formiche.net, l’uomo del presidente Donald Trump a Londra aveva invitato il governo britannico a unire le forze in difesa della libertà e in nome della fiducia angloamericana. Una fiducia che, invece, “soprattutto in qualcosa di importante come una rete 5G, non può esistere con una società come Huawei, che risponde a un governo autoritario come quello cinese”.

Questa mattina, nelle edizioni domenicali di due quotidiani importanti quali il Telegraph (considerato vicino al premier Boris Johnson, che ne fu corrispondente da Bruxelles) e il Times (giornale murdochiano) campeggiava la stessa notizia poi confermata da molti altri media locali: il governo britannico è pronto a bandire Huawei dalla sua rete 5G per motivi di sicurezza. Sarebbe la conferma del tramonto dell’età dell’oro delle relazioni tra Regno Unito e Cina inaugurata dall’ex premier David Cameron: dopo lo scontro sulla nuova legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino su Hong Kong (“una chiara e grave violazione” della dichiarazione congiunta secondo Londra, che ha reagito decidendo facilitare il regime dei visti per gli abitanti dell’ex colonia), ora tocca a Huawei.

LA GIRAVOLTA

Pochi giorni fa la Commissione federale sulle comunicazioni degli Stati Uniti aveva dichiarato le aziende cinesi Huawei e Zte “minacce alla sicurezza nazionale”, una mossa che impedirà alle società di telecomunicazioni statunitensi di utilizzare i fondi federali per comprare e installare apparecchi dei due gruppi, come spiegato da Formiche.net.

Oggi le indiscrezioni della stampa britannica. Sembra tutto pronto per la svolta. Sarebbe, infatti, una vera e propria inversione a 180 gradi da parte del premier Boris Johnson, che soltanto a gennaio aveva consentito al colosso di Shenzhen, sfidando le pressioni degli Stati Uniti per tagliare fuori la società cinese.

Come raccontato da Formiche.net nelle scorse settimane, la pressione è cresciuta. Anche perché le preoccupazioni sono aumentate anche tra i deputati dell’opposizione laburista. “Tra i conservatori al governo le voci critiche sono aumentate e da Washington sono arrivati molteplici avvertimenti che suonano tutti come ‘chi apre a Huawei deve essere pronto a rinunciare alla cooperazione con gli Stati Uniti su difesa e intelligence in primis’”, scrivevamo a fine maggio. E ancora: “Un messaggio per gli alleati britannici ma non solo. A rischio ci sarebbero la condivisione di informazioni sensibili ma perfino il dislocamento degli F-35 (nel caso britannico sulla HMS Queen Elizabeth)”.

L’INDAGINE DELL’INTELLIGENCE

Il dietrofront è legato allo studio che sarà presentato al premier Johnson questa settimana dall’agenzia governativa che si occupa di comunicazione e intelligence, la Gchq. Si tratta di un’indagine di emergenza pensata, spiegava il Guardian, “per spianare la strada a Downing Street per spingere verso la totale esclusione delle apparecchiature Huawei nelle reti britanniche dal 2023 e sedare una rivolta dei deputati conservatori”.

La review dovrebbe arrivare a concludere che “le sanzioni statunitensi contro Huawei” e i fornitori di chip, che saranno in vigore da settembre, “renderanno impossibile utilizzare la tecnologia del gruppo cinese come pianificato per le reti 5G”, notava sempre il Guardian a fine maggio.

Il parere in arrivo questa settimana è in linea con le attese: le sanzioni statunitensi imposte a Huawei costringeranno infatti la società a utilizzare una tecnologia cinese “non affidabile”.

LA REPLICA DI HUAWEI

La replica di Huawei non si è fatta attendere molto. Il responsabile dei media internazionali, Paul Harrison, ha accusato Londra di “farsi dettare le politiche dall’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump”. Gli Usa, secondo il colosso di Shenzhen, stanno semplicemente “lottando per recuperare la posizione di mercato” sul 5G rispetto al “leader globale” Huawei senza “fornire prove a sostegno delle loro infinite accuse”.

LONDRA CERCA ALTERNATIVE

Come raccontato da Formiche.net qualche settimana fa, il governo britannico è impegnato a trovare alternative per il 5G. Al vaglio del gabinetto c’è l’ipotesi di pompare investimenti statali nelle aziende britanniche di telecomunicazioni per aiutare a competere nel mercato delle reti di nuova generazione. “La proposta è parte di un piano più ampio per ridurre la dipendenza britannica da Huawei”, scriveva il Times. Ma tra i pilastri del progetto di Downing Street c’è la creazione di una nuova alleanza tra democrazie, un club già ribattezzate D10 (i Paesi del G7 più Australia, Corea del Sud e India, come spiegato su Formiche.net) che molto ricorda il G11 (esteso anche alla Russia) a cui il presidente statunitense Donald Trump sta lavorando per settembre in chiave anticinese.

LA STRETTA IN OCCIDENTE. E IN ITALIA?

Pochi giorni fa, alimentando le speculazioni sul dietrofront, il premier Johnson ha spiegato di non volere che “venditori statali potenzialmente ostili” vadano a presidiare infrastrutture nazionali cruciali. È la stessa motivazione con cui, da diversi mesi, gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sugli alleati della Nato — Italia compresa — affinché bandiscano Huawei.

Carisa Nietsche del Center for a New American Security ha dichiarato alla Cnn che “siamo all’inizio di un cambiamento radicale in Europa”. Sempre più Paesi, infatti, stanno ascoltando le richieste statunitense lavorando parallelamente a un mercato favorevole alle alternative a Huawei e Zte (in prima file le europee Ericsson e Nokia). Dopo il Regno Unito, riflettori puntati su Francia e Germania. Subito dopo sull’Italia.


×

Iscriviti alla newsletter