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Cosa possiamo fare (oltre l’indignazione) per Hong Kong. Parla Emma Bonino

L’emotività non basta. Un fanale acceso per un giorno e poco più non aiuterà la causa di Hong Kong. Emma Bonino risponde con un filo di disincanto al telefono. Lei, volto storico di mille battaglie Radicali per i diritti umani, ora invita a guardare con severo realismo quel che sta accadendo al Porto Profumato.

La Legge sulla sicurezza nazionale cinese ora è realtà. Il giorno dell’anniversario dell’handover, la cessione dell’ex colonia inglese nelle mani di Pechino, si contano già più di 200 arresti fra i manifestanti. C’è una novità: con la nuova legge, chi viene arrestato può finire processato nella Mainland China, la Cina continentale, perché ormai i due sistemi (giuridici, politici, presto anche economici) sono diventati un tutt’uno.

Cosa può fare l’Italia, l’Europa, l’Occidente di fronte ai fatti di Hong Kong? “Molto poco, francamente”, risponde a Formiche.net con un sospiro la leader di Più Europa, già Commissaria europea, poi ministro degli Esteri.

“Diciamoci la verità: rispetto a quanto sta succedendo, ho visto una presa di posizione di buona parte della comunità internazionale, ma non mi illudo sul resto. Possiamo parlarne, sottolineare la situazione, magari senza dimenticarla presto. Condannare una reazione così violenta, schierarci con attivisti come Joshua Wong. Ma senza farci illusioni”.

Il messaggio della Bonino è chiaro: a Hong Kong non serve un fuoco di paglia. O meglio, “l’emozione di un giorno si spegne, dobbiamo essere consapevoli che sono battaglie lunghe”.

Le chiediamo la sua su questo Pd che ha “democratico” nel nome ma si ostina a non prendere l’iniziativa, fatta eccezione per la mobilitazione di alcuni suoi esponenti. “Bisogna capire che sventolare bandiere si può e si deve fare, purché però non vengano ammainate il giorno dopo. L’Italia, da sola, contro la Cina non ce la fa. Ci sono altre questioni, d’altronde, che hanno visto esitare il Paese, come quelle che riguardano l’Egitto o la Turchia”.

L’ex ministra ricorda ancora il passaggio sofferto di Hong Kong nelle braccia della Città Proibita. Allora, nel 1997, lei era già a Bruxelles, Commissario per gli aiuti umanitari. “Non posso scordare il momento dell’alza-bandiera cinese al posto di quella inglese. Il mio collega della Commissione Chris Patten, ultimo governatore inglese di Hong Kong, mi raccontò emozionato, con qualche speranza e molte preoccupazioni, il vertice sul Britannia alla presenza della Famiglia reale e Tony Blair, in una notte piovosa”.

Che fare oggi che nel giro di poche ore quei patti siglati ventitré anni fa sono stati mandati in fumo? È un campanello d’allarme anzitutto per l’Unione europea, che, almeno sulla carta, è stata costruita sulla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, dice Bonino. “Forse su questo fronte l’Ue si è dimostrata troppo timida, anche se non sempre è facile raggiungere l’unanimità al Consiglio. Ma dare le colpe all’esterno sarebbe l’ennesimo errore. L’Italia deve prendersi le sue responsabilità, e sapere che si tratta di una lunghissima battaglia, non sappiamo se vincente, in cui bisogna tenere conto di elementi economici, strategici, geopolitici”.

Non sarà che la timidezza italiana, prima ancora di quella europea, è dovuta a un rapporto ormai quasi organico con il governo cinese? “Può essere – risponde caustica – non dobbiamo farci trascinare nella Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina. Ma neanche, soprattutto in questo momento, esaltare la Cina come primo partner commerciale, ignorando le ormai evidenti mire espansionistiche di Pechino”.

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