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La Brexit arriva nello Spazio (e fa discutere). Il punto di Spagnulo

Il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea il 31 gennaio 2020, ma i negoziati post-Brexit sono tuttora in corso, e gli scontri politici sono all’ordine del giorno. Uno dei settori dove i contrasti sono platealmente evidenti è, per la sorpresa dei più, lo Spazio.

Il Regno Unito è un Paese fondatore dell’Agenzia spaziale europea (Esa), che non è un’organizzazione dell’Ue, quindi la Brexit non ha comportato l’uscita del Paese dall’ente spaziale, ma questo non ha evitato diatribe stellari. Il fatto è che da vent’anni i programmi spaziali infrastrutturali dell’Ue, cioè Galileo, Copernicus e ora anche Ssa (Space Surveillance Awareness), sono stati co-finanziati dall’Esa e dalla Commissione di Bruxelles. Ecco perché anche lo Spazio è diventato un terreno di scontro politico per la Brexit.

Gli inglesi e il blocco franco-tedesco se le stanno dando in particolare sul sistema di navigazione satellitare Galileo, l’alternativa europea al Gps americano e al Beidou cinese.Bruxelles ha sempre tenuto una posizione intransigente nel voler negare agli inglesi la disponibilità dei segnali Galileo dopo l’uscita di Londra dall’Ue.

E ciò nonostante essi abbiano partecipato al progetto sin dall’inizio. Si pensi che il primo satellite Galileo dell’Esa, il Giove-A lanciato nel 2005, fu costruito proprio da una ditta inglese, la Surrey Technology. I britannici hanno invece sempre rivendicato il loro diritto a un pieno utilizzo del Galileo a fronte del lavoro fatto e del contributo finanziario al progetto pari a 1,4 miliardi di dollari.

Michel Barnier, capo negoziatore dell’Unione per la Brexit, ha sempre dichiarato che l’accesso del Regno Unito al Galileo sarebbe stato automaticamente rescisso ma che gli inglesi si sarebbero potuti “ricongiungere” come paese “terzo” dopo un nuovo accordo. Intanto però le ditte inglesi hanno continuato a fare affari con l’Esa, in fondo Londra è il quarto contributore dell’agenzia con circa mezzo miliardo di euro l’anno, e così la tensione politica è salita ai massimi livelli quando l’anno scorso il ceo di Airbus Defense and Space UK comunicò al parlamento che stava trasferendo molte attività di un contratto dell’Esa da 200 milioni di euro a ditte nel continente, perché l’agenzia aveva deciso che solo industrie con sede nell’Ue potevano essere dei sotto contraenti di primo livello. E con un ulteriore affondo l’Esa ha dichiarato di voler interdire il Regno Unito dall’accesso ai segnali crittografati Prs del Galileo che forniscono un servizio di alta precisione per i militari.

Il fatto è che negli anni passati le ditte britanniche hanno realizzato hardware e software proprio per il sistema Prs in vista del suo utilizzo sui mezzi militari di Sua Maestà. Così Londra ha reagito minacciando una minore cooperazione in materia di sicurezza e difesa (anche se l’Inghilterra già oggi non fa parte della Common Security and Defense Policy di Bruxelles) ma soprattutto ha paventato l’intenzione di realizzare una propria costellazione spaziale alternativa al Galileo.

Una minaccia che rivelava un nervo scoperto e una scommessa rischiosa. Il professor Bleddyn Bowen dell’Università di Leicester ha sottolineato come l’impatto economico di questa scelta sarebbe notevole dato che si dovrebbe comunque sviluppare un sistema ex-novo con tutti i rischi tecnologici e finanziari associati. Bowen inoltre ha sottolineato che l’indipendenza si sarebbe ottenuta solo acquisendo una capacità “autonoma e domestica” di lancio nello Spazio.

E qui entra in gioco la strategia per la “Global Britain” del 21esimo secolo. Tre mesi fa, il cancelliere Rishi Sunak ha annunciato investimenti complessivi in R&S pari 22 miliardi di sterline l’anno di cui 900 milioni per lo Spazio. Pochi giorni fa il governo di Londra ha annunciato due importanti novità. È stato approvato il piano della Highlands and Islands Enterprise (Hie) per costruire entro il 2022 una base di lancio nel nord della Scozia sulla penisola di A’Mhoine.

Poi il governo britannico si è impegnato a investire 500 milioni di dollari (altri 500 milioni saranno versati dall’operatore indiano di telecomunicazioni Bharti Global Mobile) nella società satellitare OneWeb che è in concordato fallimentare. Fondata nel 2012 dall’imprenditore americano Greg Wyler, One Web punta a lanciare 650 satelliti (74 sono già in orbita) per vendere connessione Internet a basso costo in tutto il mondo.

Sinora ha raccolto 3,4 miliardi di dollari con cui ha avviato la costruzione dei satelliti presso impianti in Usa e in Francia. Però a marzo il principale investitore, la SoftBank, ha rifiutato un nuovo round di finanziamenti e Wyler ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti. Come un “gambler” che coglie l’attimo, il governo inglese ha deciso di investire nell’iniziativa rilanciandola come azionista di riferimento. L’obiettivo è “aiutare il Regno Unito a diventare un pioniere nella ricerca, sviluppo, produzione e sfruttamento di nuove tecnologie satellitari, dando un impulso alla produzione manifatturiera nel nostro Paese”.

L’investimento è stato ben accolto dai sindacati inglesi che vedono un potenziale futuro di nuovi posti di lavoro qualificati per il settore aerospaziale, sinora troppo legato alla franco-tedesca Airbus. Per ironia, della quale i britannici sono maestri, Londra ha “messo le mani” proprio sul progetto satellitare più “francese” tra quelli in realizzazione nel mondo, dato che i satelliti Oneweb sono progettati e prodotti dalla Airbus di Tolosa e il lancio è appaltato alla Arianespace di Parigi.

Un bel coup-de-theatre non c’è che dire. Sebbene molti sollevino dubbi sull’idoneità della tecnologia Oneweb per il posizionamento via satellite, è indubbio che Londra persegua la strategia ambiziosa di fare dello Spazio uno dei settori di crescita, sviluppo e predominio del paese nel mondo.

Cerchiamo di trarre da questa vicenda non ancora conclusa una sintetica morale per il nostro Paese, senza prendere alcuna posizione per una o l’altra parte in causa. Nonostante il pensiero unico di Bruxelles secondo cui l’Ue sarebbe una comunità plurale di Stati che scelgono liberamente di cooperare per risolvere problemi comuni in condizioni di parità, lo scontro sul Galileo tra gli inglesi e il blocco franco-tedesco, smaschera ancora una volta la retorica autoreferenziale europeista.

Invece di smontare aprioristicamente ogni pensiero critico si dovrebbe invece prendere spunto da situazioni come questa per provare a immaginare nuovi assetti istituzionali intergovernativi, non sovranazionali, oppure diverse alleanze in cui la sovranità nazionale (termine molto amato in Francia e provincialmente mal visto in Italia) operi in relazione cooperativa e in autonomia decisionale vis-a-vis della dimensione interna ed esterna di ogni paese che fa parte dell’Unione. Questo non significa criticare il tema dell’appartenenza all’Europa, bensì criticare formuleeuropeiste che non dicono nulla e che trascurano la dimensione geopolitica e le relazioni di potere, economico e militare, sia all’interno del continente stesso e sia con il resto del mondo. E che si manifestano in scontri come quello su Galileo. La lezione per l’Italia spaziale è che si può star bene in Europa anche guardando talora con più accortezza anche fuori da essa.

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