Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Prima i giornali, poi le università. Così Pechino soffocherà Hong Kong

Questione di tempismo. Non è casuale il momento scelto dalla Cina per abbattere una volta per tutte la scure su quel che resta dell’autonomia di Hong Kong. Se Pechino ha gioco facile, dice a Formiche.net Kristine Lee, Associate fellow dell’Asia Pacific Security Program del Cnas (Center for a New American Security), è anche grazie a qualche remora di troppo di Washington D.C.

Oltre ai proclami, cosa succede adesso?

È probabile che vedremo un irrigidimento del clima politico e mediatico all’interno della Cina continentale così come della morsa su Hong Kong. Il Partito comunista cinese (Pcc) inizierà a raddoppiare la censura sulla libertà di parola e stampa, ritenute una minaccia. La mossa successiva consiste nell’incarcerazione di accademici, giornalisti, cittadini che criticano il governo. Nel frattempo, il governo cinese proseguirà nell’espulsione di giornalisti stranieri come quella che abbiamo visto, per esempio, con i cronisti del New York Times, Wall Street Journal, Washington Post, e altri giornali di peso quest’anno.

Hong Kong è considerata da sempre un “unicorno” finanziario della regione. La stretta non rischia di trasformarsi in un boomerang per un’economia già in crisi?

È vero, Hong Kong è un tassello chiave dell’economia e dell’ecosistema finanziario cinese, ma in questi giorni Xi Jinping sta dimostrando di ritenere prioritari la stabilità e il controllo politico rispetto a qualunque altra cosa. La repressione politica a Hong Kong non è certo benaugurante per il messaggio sbandierato da Xi di una rapida ripresa economica cinese dopo il Covid-19. Non bisogna dimenticare che i trend di lungo periodo non giocano a favore dell’economia cinese a causa della demografia e altri fattori secolari, tanto che gli analisti hanno da tempo previsto un rallentamento significativo della crescita dell’economia nei prossimi decenni. Anche se il governo cinese sta cercando di colmare buchi e lacune al più presto per stimolare la crescita, questi trend continueranno e saranno accelerati dal virus.

Gli altri Stati nella regione resteranno a guardare o qualcosa si muove?

Non c’è dubbio che i Paesi nella regione si siano rizzati in piedi quando hanno visto fino a che punto si è spinta la repressione di Pechino a Hong Kong. In ampie aree della regione cresce l’inimicizia verso la Cina, soprattutto da parte di quei Paesi che hanno già sperimentato l’urto della coercizione politica ed economica cinese, Taiwan, Corea del Sud, Vietnam, e altri Paesi nel Sud-Est asiatico. Non è detto però che questi rancori si incanalino in un’azione congiunta, tanto più in assenza della leadership americana.

Cosa rende difficile la nascita di una coalizione di contenimento della Cina?

Un fattore importante da considerare è che la Cina finora ha guidato uno sforzo diplomatico coordinato e ben finanziato per incidere sulla narrazione intorno alla sua leadership globale sul Covid-19. I diplomatici cinesi hanno fatto proseliti sulla presunta buona gestione della pandemia da parte di Pechino, e le agenzie diplomatiche hanno inviato centinaia di milioni di mascherine, test, e altri dispositivi medici a Paesi in tutto il mondo. Per quanto falsa o corrotta sia la gestione di queste operazioni, bisogna riconoscere che i cinesi hanno vinto la sfida della narrazione. Il copione è stato abilmente ribaltato e la Cina è riuscita a presentarsi come leader globale che nel mezzo della crisi fornisce al mondo know-how, risorse, e altri beni.

Fin dove si spingeranno gli Stati Uniti per difendere Hong Kong?

Gli Stati Uniti si stanno ancora riprendendo dal Covid-19, temo che in questo momento ci sia scarso interesse per assumere la leadership in quell’area del mondo. Sarebbe però un grave spreco per Washington continuare a usare strumenti tradizionali come le sanzioni e non sfruttare il suo ruolo da leader per riunire alleati e partner regionali, dall’Europa all’Asia, inclusa l’India, che sono sempre più sospettosi, ansiosi e timorosi della crescente aggressività di Pechino. Gli Stati Uniti hanno bisogno di muovere il primo passo, convogliare queste energie, gli altri Paesi non sono in grado di farlo da soli.

La pandemia ha rafforzato o indebolito Xi e il partito?

Entrambe. Da una parte il Pcc ha dimostrato grande ingenuità e goffagine, senza riuscire a sfruttare i momenti di distrazione, soprattutto da parte degli Stati Uniti, per perseguire i suoi obiettivi e colmare le sue lacune. Dall’altra è stato facilitato da alcuni errori da parte americana. Xi ha fatto aperture all’Oms quando gli Stati Uniti hanno sospeso i fondi, ha descritto come solida la leadership cinese in contrasto all’impegno caotico, imprevedibile e dimezzato verso le istituzioni multilaterali di Washington Dc. E ora sta approfittando della distrazione mondiale per spingere al limite le sue operazioni nel Mar Cinese Meridionale.

×

Iscriviti alla newsletter