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Perché la Cina (non) è l’Urss. Lo spiega Silvestri (Iai)

La Cina è la nuova grande potenza emergente. Non è ancora in grado di affrontare alla pari gli Stati Uniti e forse, se questi ultimi si lasceranno alle spalle le follie unilaterali di Donald Trump e torneranno a gestire per il meglio la loro solida rete di alleanze, non sarà mai in grado di superarli. Ma ha comunque quelle capacità, quella volontà politica e quelle strategie globali di lungo termine che fanno grande una potenza.

Di fronte alla Cina, come si posiziona l’Europa? Bistrattata da Trump, lasciata sola davanti all’attivismo piratesco di Vladimir Putin e di varie potenze regionali emergenti alle sue frontiere, alle prese con un tasso di crescita economica insoddisfacente e frenata da un allargamento che ne ha frazionato e rallentato il processo decisionale, l’Europa (o meglio, i singoli Paesi europei) è stata fortemente corteggiata dalla Cina, a volte con offerte sincere, più spesso con abili mosse propagandistiche e con un uso spregiudicato delle risorse rese disponibili dal suo capitalismo di stato.

Ma la Cina di Xi Jinping non è più quella post-maoista di Deng Xiaoping, che credeva nella possibile convergenza dei due sistemi. Oggi è uno Stato autoritario fortemente centralizzato, che ha scelto di rafforzare il consenso interno attorno al Partito guida anche grazie a un forte appello nazionalista. Le sue rivendicazioni nel Mar cinese meridionale e in quello settentrionale, la svolta duramente repressiva nei confronti di Hong Kong, la ripresa delle pressioni politiche e delle minacce militari nei confronti di Taiwan, persino nuove incursioni militari al confine conteso con l’India, si aggiungono al progressivo allargarsi della presenza militare cinese in Medi Oriente, in Africa e nel Mediterraneo.

L’Unione europea non ignora la sfida. Il recentissimo vertice tra la Cina e l’Ue è stato praticamente ignorato dalla stampa italiana, ma in realtà ha visto i massimi dirigenti delle istituzioni europee sollevare numerosi punti controversi, tanto che al termine non è stato siglato alcun documento congiunto.

Il vertice, svoltosi con oltre tre mesi di ritardo, a causa della pandemia, si è concluso con l’osservazione agrodolce del primo ministro Li Keqiang che “la cooperazione con l’Ue è più rilevante dei contrasti“, mentre da parte europea Charles Michel e Ursula von der Leyen hanno affermato che “confrontarsi e insieme cooperare con la Cina sono sia un’opportunità sia una necessità”. In realtà, l’Ue continua a lamentare l’assenza di reale reciprocità in campo economico e commerciale, mentre la Cina si risente per le critiche sui diritti umani e politici. Sembra comunque improbabile che si riesca ad arrivare a quell’accordo generale sugli investimenti che Angela Merkel sperava a di poter firmare il prossimo settembre.

Di fatto, sembra che la Cina guardi all’Ue come un cane che abbaia ma non morde, forse anche grazie ai molti governi filo-cinesi presenti al suo interno.

Questa situazione non è sana. Gli interessi strategici dell’Europa richiedono una rivitalizzazione del rapporto transatlantico. L’Europa non è oggi in grado di affrontare con successo le tante crisi che si sviluppano ai suoi confini orientali e meridionali, senza un deciso appoggio americano.

Dal punto di vista europeo, la Cina è nell’immediato un difficile interlocutore sia politico sia economico, e nel più lungo termine un grande problema strategico. Tuttavia, è anche il maggiore rivale identificato dagli Stati Uniti come suo antagonista globale. Se il nostro interesse strategico primario è quello di ritrovare solidi e buoni rapporti di alleanza con Washington, non possiamo ignorare questa percezione. Il futuro dei rapporti transatlantici passa anche per il Pacifico.

L’Europa deve quindi elaborare una strategia più articolata e decisa nei confronti della Cina. Non sarà facile, perché Pechino è già oggi presente e influente in molti Paesi europei, ma è anche una questione che non può essere ignorata o rimandata.

Purtroppo, la Brexit ha molto ridotto la presenza e la visibilità europea nell’Asia-Pacifico. Sarà quindi necessario che l’Ue agisca anche in stretta collaborazione con la Nato. Ciò potrebbe comportare alcune difficoltà politiche legate alle sensibilità e agli allineamenti politici di alcuni paesi membri e di alcune forze politiche, come ad esempio i Verdi tedeschi, ma sembra un passaggio obbligato, se non altro per convincere Pechino della serietà dell’impegno europeo. Ma con quali obiettivi?

L’Ue non alcuna ragione né interesse ad assumere una posizione bellicosa nei confronti della Cina, ma allo stesso tempo non può accettare che essa lavori per allentare i legami tra gli americani e i loro alleati, nell’Atlantico come nel Pacifico. È un problema molto simile a quello che abbiamo avuto durante la Guerra Fredda, con l’Unione Sovietica, che era insieme un partner economico, una realtà europea e un avversario strategico. Allora il compromesso prese le forme del cosiddetto rapporto Harmel, che coniugava insieme la dissuasione e il contenimento dell’Urss e il perseguimento della distensione politica ed economica oltre all’avvio di negoziati per il controllo e la riduzione degli armamenti.

Quella strategia ebbe pieno successo. Non c’è alcuna ragione di pensare che qualcosa di simile non funzionerebbe anche nei confronti della Cina, a condizione che Washington e Bruxelles riescano a trovare le ragioni di un comune sentire. Anche questo non sarà facile.

Joe Biden, se vincerà le elezioni, sarebbe certamente più disponibile di quanto non sia Trump a lavorare con gli alleati. Ma mentre in Europa parliamo di una partnership, sia pure difficile, con la Cina, da parte americana, anche tra i democratici, si parla piuttosto di competizione, di rivalità e persino di scontro. Alcuni citano la possibilità di cooperazioni, ma molto circoscritte. L’Europa afferma la necessità di difendere i suoi interessi e i suoi principi, ma definisce comunque la partnership con la Cina come “vitale”. Certo si riconosce che la Cina è un rivale sistemico, ma anche un partner per negoziati, cooperazioni e concorrenza economica.

Sarà quindi necessario un attento e delicato lavoro dalle due parti dell’Atlantico per trovare un’intesa solida e di lungo periodo. Tuttavia, gli interessi strategici in ballo sono troppo importanti per non tentare il tutto per tutto.

 

Articolo pubblicato su Affari Internazionali


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