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Il Family act, la famiglia e le nuove sfide secondo Civiltà Cattolica

Se l’Italia sarà accorta e troverà le risorse giuste, il Family act potrebbe costituire un punto di partenza utile per affrontare i problemi delle famiglie con figli a carico o alla ricerca del loro ruolo nella società. Ma il Paese deve anche confrontarsi con i temi di fondo che rendono necessario capire come cambia la famiglia e quindi quali sono le nuove sfide.

Dedicando al cosiddetto Family act il suo articolo d’apertura, La Civiltà Cattolica conferma l’interesse e l’attenzione al tema. E presenta così le finalità del provvedimento sul quale il governo si è impegnato in attesa dell’esame parlamentare: “1) si svincoleranno i vari contributi legati al reddito da lavoro, per poter erogare un assegno universale per ogni figlio minore a carico; 2) si cercherà di sostenere la genitorialità rafforzando i congedi parentali, in modo che possano usufruirne anche gli uomini, e aumentando i servizi educativi per l’infanzia; 3) si dovrebbe prevedere un contributo per sostenere l’autonomia dei figli maggiorenni, in modo che possano uscire di casa e iniziare a camminare con le proprie gambe.”

Questa la lettura delle finalità di un provvedimento che cerca di rispondere, e non sorprenderà nessuno se si aggiungerà che la risposta a chi scrive appare tardiva, al gelo demografico. Se in dieci anni si sono persi 150mila bambini su meno di 600mila si capirà l’entità del problema e la profondità delle sue radici.

La povertà è una causa evidente delle difficoltà e i dati offerti dalla rivista diretta da padre Antonio Spadaro parlano chiaro: “L’incidenza della povertà assoluta, ad esempio, cresce con l’aumento del numero dei figli minori presenti in una casa: 6,5% per le coppie con un figlio, 10,1% per quelle con due figli, e 17,2% quando i figli sono tre o più (Istat, Le statistiche Istat sulla povertà. Anno 2018, 25 novembre 2019). Poi si auspica la permanenza delle donne nel mondo del lavoro, favorendo la conciliazione fra tempi di vita e di lavoro: in Italia l’11,1% delle mamme – contro una media Ue del 3,7% – sceglie di non lavorare per accudire i figli; inoltre, il 38,3% delle donne – contro l’11% dei padri – con figli sotto i 15 anni ha dovuto modificare la propria vita professionale (Istat, Conciliazione tra lavoro e famiglia. Anno 2018, 25 novembre 2019). Infine, si desidera aiutare i giovani italiani che stentano a intraprendere una vita autonoma a iniziare a costruire le scelte per il loro futuro: si stima che circa la metà dei giovani e giovani adulti del nostro Paese (tra i 18 e i 34 anni) risiede con i propri genitori, mentre la media europea è del 28,5%.”

Dunque le intenzioni sono buone, utili, rispondono a un’urgenza. Ma le intenzioni non bastano, occorre avere la possibilità di metterle in pratica. Questo lo sa La Civiltà Cattolica come la politica, visto che il lasso di tempo tra l’eventuale approvazione del provvedimento e la sua traduzione operativa è volutamente lungo: “Infatti, le scadenze previste sono 12 mesi dall’entrata in vigore della legge delega per il decreto legislativo istitutivo dell’assegno universale, e 24 mesi per uno o più decreti legislativi di potenziamento, riordino, armonizzazione e rafforzamento di tutto il sistema di sostegni alla famiglia. Nel lungo periodo pre-lancio dei progetti di legge, i tempi annunciati erano sensibilmente più brevi”. Cosa c’è di mezzo?

Ovviamente il reperimento delle risorse necessarie, che non sono poche. Ed è qui che l’attenzione deve essere massima, perché la riforma potrebbe essere anche di segno negativo per la delicatissima fascia di famiglia a reddito medio-basso: “Il progetto dell’assegno universale dovrebbe essere finanziato dai 16 miliardi tolti all’attuale sistema di detrazioni, assegni e bonus. Con queste cifre, e considerando che sotto la nuova copertura rientrerebbero anche i lavoratori autonomi, molte famiglie di reddito medio-basso potrebbero incassare dall’assegno universale meno di quanto ora prendono tra detrazioni, assegni familiari e altre dotazioni. Per evitare che la riforma sia ‘a perdere’ per migliaia di famiglie, a parte l’annunciata ‘clausola di salvaguardia’, occorrono circa 7 miliardi aggiuntivi”.

Ma l’articolo del periodico dei gesuiti non considera la questione archiviabile con i soli provvedimenti politico-legislativi, serve anche una lettura socio-culturale di cosa succede nelle pareti domestiche. Il punto di partenza è fortissimo, ma anche chiarissimo: “Essere famiglia è diverso oggi rispetto al passato. Le famiglie, come la società, sono attraversate da processi di deistituzionalizzazione e individualizzazione. Osserviamo il calo del numero dei matrimoni e una privatizzazione del vivere insieme; assistiamo a una forte pluralizzazione delle tipologie di coppia e alla riformulazione del rapporto tra i generi. Vivere insieme significa scegliere costantemente di rimanere in una relazione impegnativa, ma meno vincolata del passato; significa costruire modelli decisionali e rapporti di potere in relazioni asimmetriche non scontati nella vita a due”.

Asimmetria, deistituzionalizzazione, individualizzazione: sono temi che riguardano le nostre società e l’articolo ci coglie quasi impreparati a considerare tutto nella sua pur conclamata evidenza delle altre modifiche sociali, determinate dal più alto tasso d’istruzione soprattutto femminile e dalle connesse  prospettive lavorative e professionali, dai tempi di inserimento lunghi, dall’accettazione sociale di una vita affettiva e sessuale svincolata dal matrimonio.

Tutto questo fa sì che il matrimonio cambi, si sposino gli adulti e si pongano nuove evidenze: “Da un lato, ci sono le relazioni tra i generi, che richiedono un riposizionamento del femminile e del maschile. In particolare, gli uomini hanno perso la loro autorevolezza e devono conquistarsi uno spazio nella relazione di coppia e nelle relazioni di cura. Inoltre, l’affermazione dei matrimoni ‘per amore’ e dell’ideale di ‘amore romantico’, se per fortuna ha abbattuto le eredità dei matrimoni programmati e della coppia ‘funzionale’, rischia tuttavia di esaltare in modo esclusivo la dimensione emotivo-affettiva della relazione – se non viene integrata con la dimensione progettuale –, rendendola così più incerta. Si tratta di imparare a vivere gli spazi di intimità nelle relazioni a due nella ricerca di sempre nuovi equilibri. Con la consapevolezza che il successo può spostare in alto l’asticella della qualità della relazione, ma l’insuccesso porta alla rottura del legame, e in alcuni casi le fragilità provocano rischi con conseguenze nefaste, come nei casi di femminicidio”.

E in chiusura emerge l’altra novità sociale, i genitori maturi. Non è un male in sé, può voler dire consapevolezza e aspirazione a garantire percorsi di qualità ai figli, ma anche il rischio di parcheggio in una realtà virtuale. Sono temi decisivi per il nostro futuro.



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