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Qualche lezione dal Consiglio europeo. L’analisi di Pennisi

Quando verrà pubblicata questa nota, il Consiglio europeo iniziato il 17 luglio sarà probabilmente ancora in corso. Tuttavia, si possono trarre già alcune lezioni:

a) Il costo di tenere bloccati a Bruxelles per (almeno) quattro giorni i capi di Stato e di governo dei 27 Stati dell’Unione europea (Ue), impedendo di fatto loro di trattare altri problemi di priorità dei loro Paesi. È un costo difficile da quantizzare in termini finanziari ma indubbiamente elevato in termini economici, politici e sociali. E tanto più alto quanto più la soluzione finale sarà simile alla proposta iniziale della Commissione europea.

b) Detto costo è il risultato di i) un ordine del giorno troppo pieno, ii) una scarsa preparazione da parte di tutti, e iii) la difficoltà di giungere ad un compromesso con troppe parti in commedia ciascuna delle quali costretta a giocare su due tavoli (quella dei colleghi “europei” e quella dei propri elettorati). Sarebbe stato preferibile dedicare un Consiglio al bilancio pluriennale e, risolti i problemi di tale voce, ed un altro al Recovery and Resilience Fund, trattando la governance dell’attuazione solo dopo un accordo sull’ammontare degli interventi e sulla loro ripartizione tra sovvenzioni e crediti agevolati. Molti argomenti si sarebbero potuti delegare ai Consigli dei Ministri Economici e Finanziari (Ecofin). Estemporanea e poco accorta la proposta di chi ha voluto aggiungere al già affollato ordine del giorno il tema dell’armonizzazione tributaria e della fiscalità di vantaggio, tema importantissimo ma che richiede lunga preparazione ed un Consiglio europeo a sé stante. Estemporanea anche l’aggiunta dei criteri su “stato di diritto”, argomento incandescente per Polonia ed Ungheria ma non cruciale al Recovery and Resilience Fund.

c) La difficoltà di fare funzionare un’Ue a 27 che invece che “sempre più stretta” diventa “sempre più labile” con rapidi rovesciamenti delle alleanze e esplosione di interessi particolaristici. I due pilastri – responsabilità e solidarietà non reggono soprattutto se ci si richiama al secondo per fare dimenticare la scarsa responsabilità mostrata per troppi anni.

d) Il ruolo delle coalizioni più ristrette tra Stati “piccoli” e considerati, a torto o a ragione, di poco peso. Sono spesso loro a menare il gioco, invece degli “assi” come quello tra Francia e Germania. Chi ricorda le trattative per l’unione monetaria, rammenta che i “parametri di Maastricht” (peraltro privi di una logica matematica) furono elaborati e proposti dai tre Paesi del Benelux ed accettati, supinamente, dagli altri. Chi ricorda l’ingresso dell’Italia nella moneta unica, rammenta che fu l’Olanda a sostenere il così detto “compromesso Carli” in base al quale venimmo ammessi nell’euro nonostante il nostro debito fosse pari al 105.5% in quanto ci impegnammo a portarlo al 60% del Pil entro una decina d’anni. Oggi non è Rutte, ma tutto il Paese che si sente preso in giro. E si tira dietro altri.

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