Che la maggioranza non sia una Falange macedone (il cui valore pare dipendesse anche dai rapporti sessuali intessuti tra i guerrieri) lo sapevamo da tempo. Anzi lo abbiamo sempre saputo fin dalla formazione della coalizione giallorossa. E ci è stata data l’occasione – quasi quotidiana – di assistere ai dissensi interni. Ma sostenere che la giornata di ieri si è chiusa con un pareggio (1 a 1: un gol effettuato nella votazione sullo scostamento di bilancio ed uno subito nel rinnovo di metà legislatura delle presidenze delle Commissioni permanenti di Camera e Senato) è una considerazione infondata.
Ieri il Conte II ha vinto per 3 a 0 (se includiamo anche, alla Camera, l’approvazione dell’emergenza sanitaria fino a metà ottobre). Certo nelle votazioni dei nuovi presidenti sono sorti dei problemi (la penalizzazione di Leu che aveva candidato alla presidenza della Commissione Giustizia di Palazzo Madama Pietro Grasso) e in alcuni casi gli ex presidenti leghisti sono riusciti a conservare la poltrona. Si sono resi necessari degli aggiustamenti in corso d’opera. Basta però consultare gli archivi parlamentari delle precedenti diciassette legislature repubblicane per trovare dei colpi di scena imprevisti.
Ci fu addirittura un ministro designato, il democristiano Carlo Donat Cattin, che non si presentò al giuramento al Quirinale (si disse che fosse andato dal barbiere della Camera) perché la sua corrente non aveva ottenuto i sottosegretari richiesti. L’allora Capo dello Stato dovette organizzare un giuramento a parte, quando l’uomo politico venne soddisfatto. Del resto al governo piace “vincere facile”.
Chi scrive – a suo tempo, anche quando le opposizioni latitavano – ha espresso delle opinioni critiche sui criteri del lockdown; ma occorre arrampicarsi sugli specchi per contrastare una proroga che risponde ad esigenze di precauzione. Soprattutto sfiora il ridicolo sostenere oggi le stesse posizioni “negazioniste” assunte da Trump e Bolsonaro all’inizio della pandemia. Ed è patetico accusare adesso il governo di mettere in discussione le libertà politiche e civili, quando queste sono state abolite – nel silenzio generale – nei 100 giorni in cui “fischiava la bufera”. Se lo stato d’emergenza è frutto di un complotto, Salvini è arrivato in tempo per spegnere la luce, dopo che il complotto si era bellamente consumato.
In sostanza, quella di ieri è stata un’altra vittoria di Giuseppe Conte. Il governo però deve stare attento a non sottovalutare la “narrazione” su cui si sono cimentati Giorgia Meloni e Matteo Salvini: il collegamento tra l’immigrazione clandestina e l’importazione del contagio. Sono due “paure” – finora in sonno e distinte – che possono alimentare, venendo a contatto, una miscela esplosiva nell’opinione pubblica.
Dopo le votazioni di ieri (si temeva che al Senato “mancassero i numeri” ma ce ne sono stati 10 favorevoli in più) mi sono ricordato del personaggio del “Dottor Faust” nel dramma in versi di Johann Wolfgang von Goethe. Scritto nel 1808, è l’opera più famosa di Goethe e una delle più importanti della letteratura europea e mondiale ispirata alla tradizionale figura del Dottor Faust (molti altri grandi scrittori si dedicheranno a questo tema) della tradizione letteraria europea. Il poema racconta il patto tra Faust e Mefistofele e il loro viaggio alla scoperta dei piaceri, delle bellezze del mondo e del potere. Giuseppi ha, senza alcun dubbio, sottoscritto un patto col Diavolo. Non si spiegherebbe altrimenti come abbia potuto – in poco più di due anni – passare dalla condizione di avvocato (non ancora del popolo) e di professore universitario completamente sconosciuto ed estraneo al mondo della politica (per quanto sia esso decaduto) a quella di leader europeo che tratta da pari a pari con statisti di grande spessore politico.
Non si dimentichi, d’altra parte, che un presidente del Consiglio come Matteo Renzi era arrivato al punto di non essere “filato” da nessuno a Bruxelles proprio per i suoi atteggiamenti da “bullo”. Ed è riuscito in questa sua “prise du pouvoir” da solo senza avere un partito alle spalle, ma riuscendo a giostrarsi tra le diverse forze politiche come se avesse a che fare con i pezzi di un Lego. Un anno fa ebbe il coraggio di sfidare Salvini, reduce dai trionfi del Papeete che lo avevano reso talmente arrogante da mandarsi a quel paese da solo. E dimostrò a tutto il mondo politico che l’onnipotente Capitano era una tigre di carta. L’intuizione che ha reso Conte (almeno fino ad ora) invincibile è stata la seguente: comprendere che l’Italia si governa da Bruxelles. Nei primi mesi i due boss della maggioranza gialloverde lo mandavano in missione a Bruxelles per mandare alla Commissione un segnale di sottovalutazione. Conte ne ha approfittato per convincere gli altri partner del “dopo di me il diluvio”. E i risultati si sono visti.