Rinunciare ai fondi del MES per la gestione dell’emergenza sanitaria è una pessima idea, lo abbiamo già detto più volte. Si tratta di un prestito a tasso negativo pari al 2% del PIL italiano; senza condizioni, a parte essere destinato a spese ed infrastrutture sanitarie, sul cui monitoraggio la UE sarebbe (giustamente!) inflessibile.
Risorse che dovremmo comunque reperire (se vogliamo attrezzarci ad una risposta più efficiente alle emergenze) sul mercato dei capitali, a costi che oggi si aggirano intorno al 1,7%. Un risparmio per il contribuente italiano pari ad oltre 600 milioni ogni anno; gettato al vento. Se il governo rappresenta gl’interessi dei cittadini, non è comprensibile la scelta di rinunciare a quelle risorse.
Il MES non è più il Fondo Salva-Stati che ha imposto alla Grecia una ricetta lacrime e sangue; sta cercando di cambiare, già dal 2018. La Commissione ha provato a trasformarlo in un Fondo Monetario Europeo, una specie di clone regionale del Fondo Monetario Internazionale ma ricondotto sotto le logiche e regole dell’Unione, non dei governi (che sono ad oggi “proprietari” del MES). Poi il Consiglio ha provato a trasformarlo in un fondo di garanzia per il Single Resolution Fund dell’Unione Bancaria. Finchè il Covid-19 ha colto tutti di sorpresa e congelato ogni dibattito sulla sua riforma. Insomma, il MES è disperatamente in cerca di una nuova identità. E l’aver pensato di utilizzarlo per fronteggiare l’emergenza pandemica ne è l’ennesima dimostrazione.
Allo stesso tempo, mi pare evidente che sia oggi necessario ed urgente ripensare, ricostruire le comunità locali, i grandi sistemi urbani, attrezzandoli per una maggiore resilienza agli shock, siano essi emergenze sanitarie, disastri naturali e dissesti del territorio; ma anche ad affrontare le sfide future (un futuro che, per la verità, è già arrivato): nuove dinamiche demografiche e sociali, che richiedono infrastrutture sociali e culturali nuove e soprattutto innovative; nuove esigenze di formazione e crescita del capitale umano; sistemi integrati di trasporto pubblico; innovativi sistemi di gestione dell’energia e dei rifiuti, orientati alla sostenibilità. Insomma, serve mettere le comunità in grado di ripensare la pianificazione economica, urbanistica, sociale, sanitaria del territorio.
Il MES potrebbe rivelarsi cruciale in questa trasformazione. Per ora ha funzionato a regime ridotto, con un capitale versato di soli 80 miliardi su oltre 700 previsti. E con quelle poche risorse ha mobilitato fondi che hanno permesso di salvare la Grecia dal dissesto finanziario, oltre che aiutare Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro. Immaginate cosa potrebbe fare se richiamasse l’intero capitale ed emettesse sul mercato titoli, chiamiamoli Sustainable Bonds, per oltre 4.000 miliardi (una leva più che ragionevole), da mettere a disposizione delle comunità locali che mostrino maggiore capacità innovativa di pianificazione.
Ecco, per una battaglia di questa portata e natura avrebbe senso rinunciare oggi ai fondi del MES, per avviarne una trasformazione profonda, che lo metta al servizio della crescita e della stabilità del sistema sociale ed economico europeo. In questo momento storico di profonde trasformazioni, in cui pure un’Europa fino a ieri lenta e frammentata è riuscita a mostrarsi reattiva e solidale (nonostante decisioni collettive adottate ancora in gran parte all’unanimità) mobilitando risorse per 3 trilioni di euro fra iniezioni monetarie e fiscali, perché non scommettere anche sulla trasformazione del MES? Perché non rilanciare? Perché non farne attore della ripresa?
Questa, ci pare, è la strada da percorrere per Conte se, come sembra ormai evidente, non sarà in grado di imporre una scelta che parte della sua maggioranza non vuole, col rischio di mettere a repentaglio la tenuta del governo. Probabilmente l’unica alternativa rimasta a sua disposizione, se non vuole perdere la faccia (e il consenso) con l’altra metà del paese, che non capisce perché gettare al vento le risorse del MES.
A meno che, naturalmente, si creda di non poter restituire quei fondi, immaginando che non ci sarà alcuna ripresa; e che si stia semplicemente aspettando di poter scaricare sul prossimo governo un default già all’orizzonte. O che si speri di poter, per l’ennesima volta, fare i furbi con le risorse europee, dirotttandole per altri scopi; e non abbiamo quindi il coraggio di attingere a fondi sulla destinazione dei quali ci verrà chiesto conto. Oppure, e sarebbe lo scenario peggiore, che non si abbia già in mente una patrimoniale; o un bel prelievo forzoso sui conti correnti e i depositi bancari. Che metterebbero la pietra tombale sulla fiducia degli italiani nelle loro istituzioni, sulle prospettive di consumo e investimento; e sulle poche opportunità di ripresa che ancora oggi il nostro paese ha di fronte.