Dal resoconto che il filosofo francese Bernard Henry-Levy fa del suo breve quanto movimentato viaggio in Libia (oggi un articolo è stato pubblicato da Repubblica) escono alcune informazioni interessanti. Ma prima occorre una ricostruzione. Henry-Levy ha un rapporto particolare col dossier libico: gli viene contestato il ruolo svolto dopo la caduta del rais Gheddafi nel 2011, quando si intestò il compito di mediazione (per conto francese?) tra la Nato e il National Transitional Council; attività ritenuta dannosa, miccia per l’innesco del caos attuale, dai suoi detrattori. Ma andiamo oltre al passato stando sul presente.
Saggista e commentatore molto vicino alle posizioni dell’Eliseo (inteso come istituzione in un concetto che va al presidente che lo guida), la scorsa settimane Levy è stato in Libia. Forse invitato dal ministro dell’Interno, Fathi Bashaga, ma entrambi smentiscono ufficialmente mentre ne parlano con insistenza diversi fonti del Gna; tuttavia queste voci sono parte dei fatti, per tale ragione vengono qui riportati.
Scopo del viaggio, visitare Tarhuna. La città sulla costa occidentale è stata per lunghi mesi controllata dalle forze ribelli haftariane: una volta liberata grazie alle unità del governo onusiano Gna vi erano state trovate delle fosse comuni. I miliziani di Khalifa Haftar ci avevano sepolto gli oppositori interni (Tarhuna è un teatro complesso nella complessità libica: contesto caotico e fluido figlio di divisioni tribali e violenze classiche).
Levy ha visitato le fosse (nel pezzo dice di averle “scoperte”, ma dev’essere una licenza di penna, visto che erano ben note e denunciate a livello internazionale). Al rientro verso Misurata (centro della difesa politica e militare del governo di Tripoli), il convoglio che scortava l’intellettuale francese è stato aggredito. Uomini armati (e un pick-up con l’artiglieria) lo hanno bloccato, mentre civili lo insultavano.
“Cane ebreo” è l’odioso, orribile classico grido che gli hanno riservato. C’è chi dice che la sua presenza è stata provocatoria e c’era da attendersi quanto successo. Il perché sta sul ruolo svolto in passato rapidamente accennato nel cappello di questo articolo, ma anche nella posizione francese, contraria a Misurata nei fatti, con Parigi che ha sempre fiancheggiato clandestinamente Haftar e ora tenta un revisionismo anti-turco. L’accusa ad Ankara è aver destabilizzato il quadro libico intervenendo a favore del Gna. Attacco che nasconde risvolti sul confronto a cavallo del Mediterraneo, con la Francia all’estremo occidente che soffre la Turchia e il suo ghigno espansionista — che Levy chiama “ambizioni islamico-fasciste”.
Ricostruito ampiamente il contesto, anche in questo pezzo, così come nel reportage del filosofo francese, i dettagli interessanti arrivano bel finale. Dopo aver raccontato la sua esperienza, recente e passata, Levy a proposito di Bashaga scrive che è l’unico nel Gna che sta cercando di tenere i rapporti con la Francia. Va ricordato che ci sono stati diversi contatti tra Tripoli e Parigi, nonostante durante le fasi più critiche della guerra lanciata da Haftar il 4 aprile 2019 il governo libico aveva deciso di chiudere le relazioni con i francesi, accusati di essere dei fiancheggiatori dell’aggressore.
Quello che scrive Levy è molto interessante perché finora il titolare agli Interni di Tripoli veniva visto come un elemento di contatto con Ankara, non con Parigi, soprattutto sul lato della Fratellanza (l’organizzazione politico-culturale panaraba di cui è parte Bashaga e a cui si spira l’Akp di Recep Tayyp Erdogan). Il ruolo di Bashaga è per certi versi inedito dunque, e apre a considerazioni che riguardano gli equilibri nel Gna – e si specchiano forse in quel che è successo all’intellettuale francese pochi giorni fa.
Venuta meno la necessità militare, con la rottura dell’assedio haftariano (grazie all’aiuto turco), le dinamiche più politiche interne al governo di Tripoli si sono fatte evidenti. Si era parlato di un rimpasto, con la possibilità di coinvolgere il settore Difesa e creare un ministero indipendente dal controllo del premier Fayez Serraj (dove doveva andare Bashaga). Ma tutto si è bloccato, perché mancavano garanzie e pesi che per il momento non era possibile spostare e ridefinire. Dunque il Consiglio presidenziale di Serraj ha (saggiamente, verrebbe da dire. Ndr) deciso di mantenere l’equilibrio attuale.
Levy sottolinea queste discontinuità interne, le calca e sembra che voglia approfondirle con la sua penna. Definisce Serraj “un burattino nelle mani dei turchi” e sostiene che sia stato “il Gabinetto di Serraj” a organizzare “una fuga di notizie” non solo sul suo arrivo in Libia, ma anche sulle tappe del suo spostamento in modo da poter facilitare la reazione che c’è stata a Misurata. Il Gna ha formato una commissione investigativa per chiarire i contorni del viaggio libico dell’intellettuale francese, che aveva detto inizialmente di essere lì per conto del Wall Street Journal, che però ha negato di aver commissariato a Levy un reportage.
(Foto: Wikipedia, Bernard Henry-Levy con Nicolas Sarkozy nel 2015)