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Covid, vaccino e concorrenza strategica: perché adesso Trump vuole guidare la crisi

Rinunciare alla convention di Jacksonville sarebbe stato un colpo di immagine per Donald Trump se non fosse che il presidente statunitense lo ha fatto passare per un segnale esplicito della rimodulazione riguardo all’epidemia. L’atteggiamento simil-negazionista di questi mesi è cambiato negli ultimi giorni, tanto che adesso il Prez invita tutti gli americani a indossare la mascherina “come faccio io” (dovere di cronaca: è da poco più di una settimana che la porta, finora non lo ha mai fatto, anzi criticava chi lo faceva accusandolo di essere una sorta di catastrofista). Per questo cambiare il format della celebrazione con cui il Partito repubblicano gli affiderà di nuovo la guida della contesa presidenziale è un passaggio più fluido; una conseguenza e non un incidente. Forse non sono stati i casi e le morti a convincere Trump, ma più probabile che i suoi consiglieri lo abbiano portato a riflettere su una dimensione più strategica: la pandemia è una crisi in cui finora è mancata la leadership americana. Per dirne una: quando nel 2014 esplose l’epidemia di ebola, sebbene gli Usa non ne erano stati praticamente toccati, Washington si intestò il piano globale per la risposta. L’assenza attuale, una condizione unica nel suo genere in epoca moderna, ha invece aperto alla possibilità che altri sfruttassero gli spazi.

È probabile che qualcuno a Washington abbia convinto il presiedente su questo problema: la pandemia è il momento in cui si decidono le dinamiche del mondo futuro, e se l’America vuol restare un gigante deve essere coinvolta completamente nel guidare la lotta al virus. Per certi versi quello che sta succedendo è anche una sorta di antipasto di ciò che il Trump del futuro potrebbe essere, quando (come già successo a tutti i suoi predecessori al secondo mandato) avrà mani più libere, e il profeta dell’America First potrebbe tornare a guardare di più al mondo. L’ingaggio cruciale non può non correre sulla rincorsa al vaccino. In modo sempre più convinto, Trump ha finanziato la ricerca dell’arma strategica del momento. Cinque miliardi e 737 milioni sono stati dati finora a Pfizer (1,92 miliardi), Novavax (1,6), AtraZeneca (1,2), Moderna (483 milioni), Jansen (456) Merck & Iavi (38), Sanofi (30,7). L’obiettivo: arrivare prima di tutti gli altri, e ottenere scorte a sufficienza.

Ma contemporaneamente l’amministrazione americana ha anche alzato il tiro contro i concorrenti. La Cina su tutti: la chiusura del consolato di Houston e il fascicolo “Wanted” contro due hacker cinesi accusati di cercare di sottrarre dettagli sulle ricerche; le stesse denunce contro i pirati informatici russi di Apt29 (collegati al Cremlino). Sull’asse della pandemia scorre il confronto tra potenze rivali. Sebbene è possibile vedere delle concause: una delle necessità che ha portato Trump a rivedere la sua posizione sul Covid, potrebbe essere stata anche la situazione non rosea della campagna elettorale. Possibile che i suoi strateghi abbiano misurato qualche buona mancanza sul fronte. Possibile che abbiano percepito richieste dai cittadini. D’altronde il contender democratico, Joe Biden, ha impostato parte della sua attività comunicazione su quello che avrebbe fatto lui al posto di Trump: inutile dire che si tratta dell’opposto, e che c’era il rischio che gli elettori iniziassero ad apprezzarlo. Infine c’è anche una pressione da parte dei governatori: lasciati a prendere le decisioni più dure (chiusure e divieti) come singoli stati, in molti hanno seguito il presidente nel minimizzare la situazione, ma ora stanno chiedendo un cambio di passo perché i risultati non arrivano. I casi sono oltre 4 milioni, la gente inizia a farsi domande e pretendere risposte.

(Foto: Twitter, @realdDonaldTrump)

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