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Dall’Oglio, il sequestro che non deve finire. Il libro di Riccardo Cristiano

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Paolo Dall’Oglio, gesuita e fondatore dell’ordine monastico di Deir Mar Musa, è stato sequestrato il 29 luglio 2013, quindi sette anni fa: perché? Perché i signori delle tenebre che hanno devastato la Siria lo temevano e volevano che lui restasse in un limbo, né vivo né morto, quindi rimosso.

Non penso che temessero i documenti che potrebbero essere presenti nei suoi archivi. Né credo temessero quel che avrebbe potuto svelare, vista la forza di quanto aveva già detto. Temevano la forza del suo messaggio, la sua dimostrazione che la fratellanza è possibile, se ci si crede. Lo temevano a ragion veduta visto l’amore che i siriani gli hanno dimostrato. Questa paura va capita: come accennato, al tempo del sequestro l’Isis non controllava Raqqa e Paolo era figura di grande popolarità. Anche tra i musulmani. Basta vedere le immagini di Dall’Oglio in piazza Raqqa per immaginarli impauriti da Paolo: non è romanticismo. Ripeto: se quelli dell’Isis lo hanno ucciso perché nasconderlo? Dunque un gruppo efferato e criminale temeva la morte di un infedele… Oppure lo hanno venduto a chi lo temeva quanto se non più di loro, per antico rancore, cioè al regime che lo aveva espulso per non sentirlo più e lo vedeva ambasciatore dei siriani senza voce e senza leadership nel mondo, quel regime che lo aveva cacciato dalla Siria e si vedeva di nuovo sfidato nella sua autorità dal suo ritorno…

Così la vicenda di Silvia Romano – che credo importante per una comunità quale dovrebbe essere la nostra comunità di italiani – mi ha fatto capire meglio che Paolo ha posto un problema enorme a tutti i signori delle tenebre. Sapere cosa è successo è un dovere verso di lui e verso noi stessi. Ma rimane un’altra constatazione: i signori delle tenebre hanno temuto e temono padre Dall’Oglio perché hanno capito il suo messaggio, la sua forza. Quel messaggio loro non possono sequestrarlo.

Così arrivo alla mia conclusione: siccome temevano entrambi, l’uomo e il suo messaggio, hanno capito che chiudendo il suo nome in un limbo lo avrebbero rimosso dai vivi e dai morti, facendolo dimenticare più facilmente. Nulla viene fatto in suo nome, né un centro per il dialogo nel Mediterraneo né un festival che riproponga nell’oggi il senso della sua testimonianza. Non per cattiveria, o disinteresse, ma perché ogni azione può apparire imprudente. Loro sanno che ciò che resta vivo dipende dai vivi. Dunque più che sequestrarlo lo hanno fatto sparire, perché non deve avere la presenza dei vivi né la forza dei martiri. Meglio non dica neanche, con Christian de Chergé, il priore trappista di Tibhirine, sequestrato nel ’96 dai terroristi in Algeria, ma ucciso quasi certamente da un’azionedell’esercito algerino insieme ai suoi compagni: “La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: ‘Dica, adesso, quello che ne pensa!'”. Ma De Chergé aggiungeva subito dopo nel suo testamento: “Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze”.

Rimuovere Paolo tanto dai vivi quanto dai morti mi sembra il piano dei signori delle tenebre, i quali immaginano la nostra fondata paura di compiere azioni rischiose per l’ostaggio. La loro tattica è terribile, usano contro di lui i nostri timori per lui, per la sicurezza di quello che forse è ancora un loro ostaggio. Gente che ha saputo usare in uno sceneggiato televisivo la fotografia di una loro vera vittima per dire a tutti di non dimenticare e seguitare a temere è capace di tutto. Anche di tenerti in un fosso per un secolo.

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