“Viviamo nell’era della disinformazione”, ha spiegato martedì in audizione alla commissione Esteri della Camera Stefano Mele, avvocato esperto di cybersicurezza, partner dello Studio Carnelutti e presidente della Commissione cibernetica del Comitato atlantico italiano, all’interno dell’indagine conoscitiva sulle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali dell’Italia coordinata dal deputato Andrea Romano del Partito democratico.
L’avvocato Mele parte dalla vecchia arte della political warfare, “ovvero quella caratterizzata da un’influenza psicologica lenta, altamente qualificata, fatta a distanza ravvicinata e costruita con grande sforzo e meticolosità”, che ha avuto il suo apice durante la Guerra fredda. E che, spiega, “si è trasformata grazie alla capillarità di Internet e delle tecnologie in un’arte ad alta velocità, economica, spesso anche poco qualificata e compiuta da remoto”. Da una strategia lenta e organizzata si è dunque passati a misure istantanee compiute da remote, ha aggiunto: “Queste attività — chiamate in gergo misure attive — sono diventate non solo più attive che mai, ma anche meno controllabili e più difficili da valutare una volta lanciate. La disinformazione, di conseguenza, è diventata ancora più pericolosa”.
GLI OBIETTIVI DELLA GUERRA D’INFORMAZIONE
L’esperto ha spiegato poi come “guerra attraverso le informazioni” abbia obiettivi variegati, come: creare divisioni tra nazioni alleate; manipolare tensioni tra gruppi etnici; creare attrito tra individui in un gruppo o in un partito; minare la fiducia che gruppi specifici di una comunità hanno nei confronti delle loro istituzioni; erodere la legittimità di un governo o la reputazione di un individuo; facilitare una specifica decisione politica.
“Questi obiettivi vengono attuati attraverso operazioni di propaganda (che cerca di coinvolgere emotivamente i bersagli) e di disinformazione (che cerca invece di manipolare la parte razionale dei bersagli attraverso, ad esempio, informazioni false) attuate oggigiorno principalmente – anche se non esclusivamente – per mezzo di Internet”, ha spiegato l’avvocato Mele.
LA MINACCIA RUSSA…
L’esperto ha fatto anche riferimento alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, l’evento che ha acceso i riflettori sulle misure attive russe. Dopo quanto accaduto quattro anni fa, infatti, è forte il timore delle autorità statunitensi che la Russia possa tentare di influenzare il voto di novembre. Ma “se avessimo studiato le metodologie e le tecniche del governo russo di manipolazione e di tentativi di infiltrazione nelle elezioni presidenziali dell’Ucraina due anni prima, avremmo capito lo schema di azione del governo russo quando cerca di manipolazione delle elezioni presidenziali”, ha spiegato Mele.
“La strategia russa”, ha aggiunto l’avvocato, “è principalmente una strategia di influenza e non di forza, che mira quindi a minare la coerenza interna dei governi e non a distruggerli completamente”. Ripristinare lo stato di grande potenza della Russia; preservare la sfera di influenza della Russia; proteggere il regime di Vladimir Putin; migliorare l’efficacia militare della Russia: sono i quattro obiettivi delle attività russe.
… E QUELLA CINESE
“Anche l’Italia ha subito attività evidenti sotto il punto di vista della propaganda e della disinformazione durante l’emergenza Covid-19”, ha continuato Mele. “In particolare abbiamo subito in maniera evidente attività da parte del governo cinese”, aggiunge Mele citando l’esempio (esaminato anche dal report Alkemy per Formiche.net sui bot cinesi) del video rilanciato anche da Hua Chunyinh, portavoce del ministero degli Esteri cinese, per sostenere che gli italiani fossero usciti sui balconi a ringraziare la Cina e a cantare l’inno cinese. Pechino ha usato “ciò che noi abbiamo fatto, cioè cercare una coesione nazionale cantando l’inno durante l’emergenza”, “per fare propaganda all’interno della Cina sull’apprezzamento dei cittadini italiani agli aiuti cinesi”.
Durante il 2019, le operazioni di propaganda e disinformazione del governo cinese all’estero hanno continuato ad avere come obiettivo la promozione di narrazioni positive della Cina e la neutralizzazione delle critiche al Partito comunista cinese, in alcuni casi configurando un assalto diretto alle libertà di stampa e ai valori democratici dell’Occidente (basti pensare agli sforzi di Pechino per sostenere di aver un sistema di governance migliore, che le ha permesso di rispondere meglio e più rapidamente dell’Occidente), ha spiegato Mele. “La Cina ha sempre di più cercato di garantirsi un’ampia copertura mediatica all’estero acquistando quote di partecipazione nei media locali, pubblicando annunci positivi sui giornali e offrendo viaggi di ‘formazione’ interamente pagati in Cina per giornalisti stranieri, incorporando esplicitamente tali strategie nella Belt and Road Initiative (cioè la Via della Seta, ndr)”.
La Cina, nell’aprile del 2019, ha creato il “Belt and Road News Network”, ovvero un’associazione composta da 182 media outlet in 86 Paesi, con l’obiettivo di promuovere una copertura mediatica positiva del progetto, ha continuato l’esperto ricordando come un rapporto del marzo 2019 pubblicato da Reporters Without Borders ha concluso che la Cina mira a costruire un “nuovo ordine mondiale dei media” in cui “i giornalisti non sono altro che degli ausiliari della propaganda di Stato”. Secondo quanto riportato da Reporters Without Borders, il governo cinese ha investito circa 1,4 miliardi di dollari (10 miliardi di renminbi) ogni anno nell’ultimo decennio per migliorare la sua presenza sui media internazionali.
GLI EFFETTI
Secondo la Strategic Communications and Information Analysis Division del Servizio europeo per l’azione esterna, ci sono un numero sempre maggiore di prove dell’effetto delle attività di propaganda e di disinformazione operate da Cina e Russia sul Covid-19, ha spiegato Mele. Basti pensare che le teorie cospirazioniste legate al 5G come facilitatore della diffusione del Covid-19 hanno portato al vandalismo in diverse località nei Paesi Bassi, in Belgio e nel Regno Unito e a bloccare l’installazione di antenne in molti paesi italiani. O ancora: la società di sondaggi italiana Swg rileva che la percentuale di intervistati che afferma di considerare la Cina come un Paese amico dell’Italia è salita a marzo al 52% dal 10% di gennaio, mentre la percentuale di intervistati che indica di avere fiducia nelle istituzioni dell’Unione europea è scesa al 27% a marzo dal 42% di settembre 2019.
“Inevitabilmente, quando le vittime di un’operazione di disinformazione leggono e reagiscono a documenti segreti falsificati, la loro reazione è reale; quando si contano i voti di parlamentari influenzati, il risultato è reale; quando falsi account sui social media invitano gli utenti inconsapevoli a partecipare a una manifestazione per strada, quella manifestazione è reale; quando i cittadini iniziano a usare epiteti razziali offline o a condividere post estremisti, i loro punti di vista sono reali”, ha concluso Mele.