Hanno accudito famiglia, figli, casa, anziani. Hanno regalato a molti un sorriso e certezze alla comunità. Donne straordinarie anche nei giorni del virus. Hanno garantito, con sacrifici e professionalità, azioni e risultati concreti in ogni ambito professionale con inesauribile desiderio di solidale vicinanza, accoglienza, disponibilità.
Dov’erano, prima della pandemia, quelle donne, volti e voci di ogni fascia sociale, professionale e culturale? Le donne che l’emergenza ha visto donare affetto, manifestare coraggio e energia sufficiente per riorganizzare, nell’immediatezza, se stesse e la vita degli altri in un difficile e imprevisto scenario?
Donne alle quali il lockdown ha imposto, secondo ricerche internazionali, circa 80 ore di lavoro settimanale in casa, al di fuori degli impegni professionali?
Dove erano quelle donne che, soddisfatte le esigenze familiari, sono anche timorose di essere valutate negativamente, dividendosi tra casa e smart working?
Ci sono sempre state, quelle donne. Durante la pandemia l’impegno fisico, mentale e professionale femminile ha svelato, tuttavia, una fisionomia più netta del loro complesso mondo.
L’Istat fotografa, tra gli effetti del Covid-19 sul mondo del lavoro, una penalizzazione della presenza delle donne. E lo stesso Istituto, nell’ultimo Rapporto sulla situazione demografica, descrive un calo di nascite al minimo storico dall’Unità d’Italia che fa immaginare, in fondo, la donna di fronte a un bivio lavoro-figli. Un quadro che allontana sempre più ogni aspettativa di realizzazione.
Da ricerche condotte da società di mercato e da analisi di giuriste, emerge la scarsa rappresentanza femminile negli organismi centrali della vita del Paese e nei luoghi decisionali. A settant’anni dalla sentenza della Corte Costituzionale del 13 maggio 1960 che eliminò le discriminazioni contro le donne nelle principali carriere, “raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne” è l’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, “uno dei modi per contrastare anche la violenza sulle donne”.
E così appelli, movimenti, associazioni, in tempo di pandemia, hanno dato voce a battaglie più decise per dare maggiore consapevolezza e riconoscere il valore e il contributo essenziale delle donne in ogni parte del mondo. Contro le discriminazioni nell’accesso, nelle carriere e nelle retribuzioni nei confronti del “gentil sesso”. Per definire nuove priorità e modelli culturali. Per il futuro e non solo nell’emergenza.
Non una protesta, non una battaglia contro il sesso maschile ma una consapevole presa di coscienza della ricchezza di sensibilità e di capacità dell’altra parte dell’umanità. Non è un tema esclusivamente italiano né una “questione femminile”, quindi, ma la strada universale per ridisegnare una società migliore.
Dietro queste istanze c’è un esercito di donne in fermento che hanno grinta, energia e voglia di fare. A qualsiasi latitudine. E che sono decise a rompere quel “glass ceiling” (soffitto di cristallo), quella barriera invisibile e sottile ma schiacciante e impeditiva per una giusta affermazione del proprio talento. Donne che guardano al merito e non al “potere”, così irrinunciabile per l’altro emisfero.
Richieste pragmatiche hanno dato qualche risultato, in tempo di pandemia. La “Commissione Colao” istituita “per un’Italia più forte, resiliente ed equa” e il “Comitato tecnico-scientifico” della Protezione civile sono stati integrati da componenti femminili mentre la Ministra per la Famiglia e per le pari opportunità Elena Bonetti ha istituito una Commissione tutta al femminile. “Donne per un nuovo Rinascimento” che dovranno contribuire alla ricostruzione dell’Italia nel post pandemia. Ma è sufficiente?
Il tempo dell’isolamento è stato il tempo per riflettere sull’attuale condizione femminile con sguardo più deciso e proiettato al futuro.
Al di là delle evidenze e delle statistiche, migliaia di donne, scienziate, economiste, medici, artiste e sportive, hanno manifestato determinazione e tenacia, competenza e concretezza, comunicando, insieme, empatia, fiducia, solidarietà e conforto. Raggiungendo il cuore di tutti.
A dispetto di un’asserita minore propensione della donna per il pensiero logico-razionale, sono stati apprezzati, per la chiarezza e le competenze espresse, in particolare, i contributi femminili in campo sanitario e scientifico, oltre che nella comunicazione.
Sono emerse storie di donne del nostro tempo ma anche del passato. Spesso, sinora, raccontate dagli uomini con un linguaggio “al maschile”. Una narrazione che sembra non poter mai prescindere dalla dimensione privata, dalla fisicità e sessualità di quelle donne anche di grande valore che per affermarsi hanno dovuto “resistere, resistere”.
È la vera storia di tante protagoniste del mondo, dall’antichità alla contemporaneità.
Hanno il volto di donna le immagini simbolo dell’emergenza. L’infermiera che si addormenta con la mascherina sulla tastiera del computer, la dottoressa che culla l’Italia come fosse un neonato. Due icone, tra tante. Nell’immaginario, è l’Italia migliore, quella che non si arrende e trova la forza di superare i propri limiti, con dedizione e amore incondizionati. Riferimento e approdo nella solitudine degli affetti.
E, nel ricordo e nel timore di quanto è accaduto e potrebbe rivivere, è rimasta impressa la presenza di queste donne “atterrate” sul palcoscenico dei media soprattutto grazie al coronavirus.
Impossibile, ora, farne a meno. Aspettando la ripresa, rivedendo con la memoria le donne interpreti indiscusse dell’emergenza, vorrei che non fossero sottovalutate anche tutte le altre. Quelle che non hanno avuto e non hanno voce ma che non sono affatto silenziose.
Insieme, tutte, sono quelle che possono affermare, ogni giorno, i comportamenti e gli atteggiamenti più potenti della femminilità. Quelli che disarmano la prepotenza di chi urla per imporre le proprie “regole”, di chi è inaffidabile, cinico e opportunista. Indipendentemente dal sesso. Ma è un cambiamento che può partire, soprattutto, dalla determinazione delle donne.
Dopo il “caso Weinstein” che ha catturato l’attenzione mondiale sulle violenze del cinema di Hollywood e poi il “caso Epstein“, il finanziere miliardario pedofilo che condivideva con i suoi amici famosi un giro di minorenni e prostitute, fanno pensare, da tempo, in Italia, vicende come il “caso Bellomo” nella sua Scuola di preparazione concorsuale “Diritto e Scienza”.
Certamente un “caso” che merita qualche riflessione non solo per il contesto particolare nel quale ha operato, il diritto allo studio, alla competenza e all’identità professionale, ma per lo spaccato maschilista che fa emergere. Nel mondo del diritto, nel “tempio” della formazione dei futuri magistrati, fucina di giovani dove prendono corpo responsabilità e prospettive della società civile, possono essere mortificate, oltraggiate, strumentalizzate dagli stessi educatori la centralità dell’individuo e l’idea di un sano processo di crescita?
Presunti maltrattamenti e estorsione nei confronti di allieve e dress code. Il Tribunale del Riesame di Bari ha, di recente, confermato gli arresti domiciliari al magistrato in quanto accusato di avere imposto alle corsiste di indossare minigonna e tacchi a spillo durante i corsi preparatori all’esame di magistrato, obbligandole anche a relazioni “sentimentali”. Prescrizioni, divieti, forme di controllo nella vita privata. Il quadro che emerge dalle testimonianze di alcune studentesse è davvero desolante, se dovesse essere confermato dal processo.
Abusando della fragilità connessa alle incertezze e alle difficoltà nel delicato periodo post-laurea e generando paure – raccontano le cronache giudiziarie – con offese, denigrazioni e minacce, Francesco Bellomo, ex consigliere di Stato, avrebbe preteso da alcune borsiste, sempre secondo l’accusa, comportamenti lesivi del decoro e della dignità personale.
Dunque, ragazze belle, culturalmente preparate, provenienti da contesti non degradati, rischiano di essere vittime di stereotipi maschili striscianti, e non solo antichi, che descrivono un’immagine distorta della femminilità. Forse situazioni note a molti, nell’assoluta indifferenza. Ancor oggi?
Donne “abusate” da qualsiasi forma di “potere” che si trasforma, inevitabilmente, in sofferenze morali e psichiche sono una realtà tollerata, a volte, dalle stesse donne.
In casa, durante l’isolamento del lockdown, compagni e figli maschi hanno in gran parte rivisto i propri ruoli, offrendo maggiore disponibilità e supporto. Una condivisione, in molti casi, inaspettata e insperata che ha annullato solitudini e l’insormontabile distanziamento.
Ora, portiamo questa vicinanza anche fuori dalle mura domestiche. Mostriamo a tutti che qualcosa è profondamente cambiato prima in noi stesse e in quanti hanno fatto riferimento a noi. Diamo spazio, con fiducia, all’autodeterminazione e all’autonomia. Non cediamo alle lusinghe di percorsi apparentemente facili e accattivanti ma dal costo umano infinitamente elevato.
Con un nuovo “galateo” dei sentimenti fondato su autostima, competenza, rispetto soprattutto verso noi stesse e, naturalmente, attraverso emozioni vere, possiamo rifuggire da “gabbie” e dipendenze. Da nuove e più gravi “schiavitù” generate, in parte, da noi stesse.
È un percorso individuale per recuperare il senso più profondo della vita. Quello che, a volte, ci illudiamo di ricercare nell’incontro con persone che si rivelano inadeguate generando situazioni mortificanti. Ma dobbiamo essere ferme nell’impedire sul nascere ogni tentativo di strumentale persuasione. Spesso è lì che si radicano comportamenti inconsapevoli contrari alla dignità e che possono favorire una sorta di sottomissione.
È anche un percorso collettivo. Di solidarietà femminile. Le donne sono un veicolo di grande forza nel cambiamento, come la Storia insegna. Questo, credo, sia un momento importante e un’occasione da non perdere anche per una positiva svolta nella qualità delle relazioni e per una società migliore. Guardando oltre la mascherina.
Nella prospettiva di un’autentica “parità”, riconquistare un reale spazio interiore è, forse, il primo passo. Per affermare, con orgoglio, la propria femminilità. E ricominciare, oltre il virus, a vivere, con maggiore benessere, insieme, uomini e donne.