La Cina prima di tutto. Dall’intervista di AndKronos all’ambasciatore americano a Roma, Lewis Eisenberg, esce un messaggio chiaro su quali siano attualmente le preoccupazioni e gli interessi strategici di Washington. “È un paese interessante, ma le sue azioni sono pericolose, speriamo che cambi modo di operare”. Le dichiarazioni della feluca americana, voce molto ascoltata (come tutti i suoi predecessori) nel contesto delle dinamiche politiche italiane, arrivano a pochi giorni di distanza dal discorso in cui il segretario di Stato, Mike Pompeo, aveva definito Pechino “una nuova tirannia”.
Pompeo parlava dalla Richard Nixon Presidential Library, luogo simbolico, ricordo del primo presidente che aprì alla Cina con la stretta di mano a Mao nel febbraio del 1972: ora il capo della diplomazia americana dice che “se il mondo libero non cambierà la Cina, la Cina cambierà noi”. Altrettanto simbolico potrebbe essere l’intervento a tutto campo, anti-cinese, di Eisenberg: l’ambasciatore ricopre infatti il ruolo nell’unico Paese del G7 che ha aderito alla Belt and Road Initiative formalizzando un memorandum di intesa lo scorso anno. Un’esposizione da sempre criticata da Washington, tramite Villa Taverna.
“Non è il popolo cinese”, ha spiegato Eisenberg sottolineando una linea che l’amministrazione statunitense sta marcando: ossia evitare il rischio di una generalizzazione che può essere contrattaccata come razzista – già fatto da Pechino. Il problema, spiega, sono le volontà del Partito comunista, e cita Hong Kong come un esempio di quanto e come il Partito/Stato può essere “molto pericoloso”. Ma elenca anche le attività aggressive “nel Pacifico”, dal Mar Cinese ai lineamenti talassocratici verso l’India, così come il furto di proprietà intellettuale, “causando danni economici ad altri Paesi”.
Inevitabile un passaggio sul 5G, declinato sotto la sfida cinese a marchio Huawei. A una domanda sul possibile cambio di posizione del governo italiano rispetto all’azienda cinese e alla richiesta del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, su “un perimetro di sicurezza cibernetico europeo”, Eisenberg risponde: “Aspettiamo di vedere come si procederà esattamente, ma per noi Huawei rappresenta una minaccia alla sicurezza”. E ancora: “I cinesi, il Partito comunista cinese, avrebbero accesso al nucleo dei loro centri nevralgici – avverte Eisenberg – e noi non possiamo permetterci che agli scambi così importanti che abbiamo con l’Italia attraverso ogni canale possa avere accesso un’altra parte”.
E ancora, i porti: Eisenberg recentemente ha visitato Trieste e Venezia, e prima a Genova. “Il timore” americano, come l’ha definito, è che i cinesi cerchino di entrare in queste infrastrutture strategiche come fatto altrove. Su questo, spiega il diplomatico, l’attenzione statunitense è massima.
“Ce n’è abbastanza per essere portato come prova dall’Italia, da altri Paesi europei, dagli Stati Uniti, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale per il commercio e dell’Organizzazione mondiale della sanità, dove la presenza cinese finisce per creare svantaggi ad altri membri di queste organizzazioni”, aggiunge. La Cina, spiega Eisenberg, rappresenta “un pericolo significativo”, ma “speriamo ci sia opportunità per cambiare il modo in cui opera”.
Due battute anche su Libia e Covid. Sul dossier critico nordafricano Eisenberg ha spiegato che gli Stati Uniti hanno “una comunicazione costante” con l’Italia aggiungendo che la Libia è importante per la pace regionale e il dossier immigrazione è importante per Roma e per tutta l’Europa; aggiungendo che si augura che Russia e Turchia si sgancino dal Paese. Sulla pandemia ha invece lodato l’Italia come “un modello” che ha combattuto il coronavirus “meglio di chiunque altro finora, un grande esempio”.