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I sauditi e la ricetta sbagliata (a base di top model) contro Erdogan

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Chi se ne occupa assicura che siano tutti nomi di primissimo piano: Kate Moss, Mariacarla Boscono, Candice Swanepoel, Jourdan Dunn, Amber Valletta, Xiao Wen e Alek Wek. Sono loro le più note delle dieci top model che per un giorno, dall’alba al tramonto, hanno posato per Vogue nella magnificenza di al-Ulà, che ricorda la giordana Petra e che dista due o trecento chilometri da Medina, secondo luogo santo dell’Islam dopo La Mecca.

La Mecca e Medina sono precluse a chiunque non sia musulmano. Mohammad bin Salman, ansioso di lanciare il suo paese anche in termini turistici, ne apre i segreti limitrofi, e non religiosi, non solo alle top model di Vogue, vestite con abiti stretti e spacchi, ma anche a tutti coloro che vorranno con loro loro vedere la stupenda al-Ulà.

Immaginando i tempi, politici e tecnici, di una simile operazione è proprio impossibile definire il servizio di Vogue da al-Ulà la risposta saudita all’operazione del loro acerrimo nemico, il turco Erdogan, che ha appena trasformato in moschea un’altra meraviglia del mondo, Santa Sofia. Ma la connessione tra le due operazioni sta nei fatti, che sono soprattutto il timing del rilascio delle fotografie più belle anticipate da Vogue Arabia.

Ed è un’operazione che molto definiscono “parte delle riforme” per aprire il Paese. Quella di Santa Sofia invece è una riforma di nazionalismo estremo per chiudere la Turchia e il mondo sunnita su sé stesso. Non è un momento d’oro per il turismo, ma molti assicurano che i turisti arabi a Istanbul aumentano anche in questo tempo di pandemia.

Il terreno scelto dai sauditi per rispondere a Erdogan è un terreno che richiede capacità diverse dal saper contattare i vertici di Vogue. E questa capacità sembra averla di più proprio Erdogan, che muove con maestria anche i “like” sui social. C’è infatti nel mondo islamico una soap opera turca che da anni ha un successo enorme, che riguarda il fatidico XIII secolo e il padre della dinastia ottomana, Ertugrul. Si intitola Dirilis Ertugrul, La resurrezione di Ertugrul.

Erano tempi terribili per tutta l’area e gli arabi in particolare, la loro grande civiltà era in ginocchio per via dell’invasione mongola. Era il tempo, val la pena di sottolineare, in cui nacque contro i mongoli il fondamentalismo islamico predicato da Ibn Taimyya, che per quanto sia stato un fondamentalista islamico a100 carati autorizzò il jihad contro i mongoli islamizzati. Strano… Ma Ibn Taimyya nella grande soap opera turca non c’è, c’è invece Ertugrul, un eroe che riesce a uccidere una serie infinita di invasori e nemici, dai mongoli ai templari, uniti dalla razzia delle terre di chi oggi guarda il prodotto filmico.

Ed è il trionfo del riscatto islamico contro un mondo islamofobico. Omette le conversioni di tanti mongoli, rappresenta l’invasione e la distruzione di un mondo difeso eroicamente dal padre del padre degli ottomani. Chiaro no?

Da anni questa serie televisiva ha un successo incredibile, dal Pakistan all’Egitto, nonostante tutti si affannino a emettere sentenze giuridico islamiche che ne proibiscono la proiezione e la traduzione. I governi dicono, con qualche fondatezza, che c’è un messaggio di riconquista da parte di Ankara, che al tempo però era Istanbul, la capitale ottomana dove troneggia Santa Sofia, guarda un po’.
Ora arriva la traduzione per pakistani, e il primo ministro, che di norma ha poco a che fare con la teologia, si è scapicollato a dire che è giusto, perché la serie televisiva rispetta i valori islamici. Che lui non abbia titoli per dirlo, in un mondo divorato da lutti, confusioni e rabbie, pochi lo hanno obiettato.

Ma il punto non è questo, né la fiacca risposta dei sauditi che hanno tentato una contro-serie tv. Il punto è che la bellissima Esra Bilgic, che nella serie tv turca interpreta il ruolo della moglie di Ertugrul, ha messo una serie assai strana di like su Facebook, inerenti il cricket, lo sport nazionale dei pakistani, che fanno pensare a molti che sia pronta ad annunciare qualcosa. Lo ha confermato lei stessa rivolgendosi in urdu ai 3 milioni e mezzo di pakistani che seguono la sua pagina nella lingua più diffusa in Pakistan: “presto ci saranno belle notizie”.

Molti assicurano che diventerà ambasciatrice di una dei principali gruppi sportivi pakistani, proprietario del Peshawar Zaimi di cricket. Sport, affascinanti donne locali, serie televisive: il soft power di Erdogan usa mezzi moderni nella sua battaglia contro la modernità, ma soprattutto usa con genio una pagina decisiva e attualissima: il XIII secolo. Il mondo arabo islamico oggi è in condizioni simili, invaso e devastato da conflitti che non hanno mai fine. Davanti alla memoria delle glorie passate Erdogan dà una risposta semplice, chiara: ci odiano perché odiano l’Islam, ma noi come vincemmo ai tempi della conquista di Costantinopoli possiamo vincere ancora, e risolvere tutti i guai che il mondo corrotto ci ha portato.

Apparirebbe opportuno che stando così le cose qualcuno chieda ad Erdogan come possa tollerare che la sua lingua uralo-altaica possa continuare ad essere scritta in latino, come ha voluto Ataturk, e soprattutto se la sua moschea non debba cambiare nome, visto che quello greco di Santa Sofia non può andar bene a chi la pensa come lui. Lo fa il professor Antoine Courban da Beirut, ricordando che gli ottomani a differenza di Erdogan capivano la complessità, tessevano alleanze e non erano dei gretti nazionalisti.

Erdogan tradisce il cuore politico dell’impero ottomano e la sua propaganda ha raggiunto dei livelli davvero incredibili, prospettando seriamente la tesi che i conquistatori ottomani acquistarono Santa Sofia e la iscrissero al registro dei beni religiosi come moschea. Ma scendere a questo livello, rispondendo, non pagherà.

Questo si spiega con la frustrazione islamica che il disastro del XIII secolo spiega alla perfezione. Non saranno le modelle di Vogue a offrire una risposta convincente a un mondo che da lungo tempo ha superato l’orlo della crisi di nervi. Per convincere i musulmani che la Germania è tornata potenza mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale non con la forza dell’esercito o il racconto delle gesta del babbo di Bismarck servirebbe una grande mobilitazione intellettuale basata sulla fratellanza, sulla stima reciproca, sui danni dell’odio.

Questo lo ha fatto solo Papa Francesco con l’imam di al-Azhar. Non è stato poco, ma nessuno si è messo a lavorare sul serio, e le top model di Riad non credo invertiranno la tendenza. Erdogan, come tutti i fondamentalisti, dice che esiste una falsa credenza e quindi una falsa umanità. L’Islam illuminato farebbe bene a pensare a una serie televisiva sulla sapienza divina che ci ha fatto diversi. Partendo magari da quando Maometto inviò i seguaci perseguitati nell’Abissinia, dal buon re cristiano di Axum, che li avrebbe accolti come fratelli. Fu così e una bella serie televisiva potrebbe mostrare come una storia cominciata nel nome della fratellanza sia stata incredibilmente trasformata nel suo opposto da quella politica che ha ridotto quel mondo nelle condizioni in cui è oggi.



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