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I fondi Ue? Ponte e motore per la ripresa italiana. Scrive il prof. Baldassarri

Sono un europeista convinto da sempre, non per scelta ideologica ma per concreto realismo perché di fronte al mondo globale del XXI secolo o esiste l’Europa oppure scompaiono i singoli paesi europei, potente Germania in testa. Se però cinque mesi fa mi avessero detto che, di fronte alla doppia crisi sanitaria ed economica, l’Europa avrebbe messo in campo 2.640 miliardi di risorse, cioè quasi il 20% del Pil della Ue dopo la Brexit, non ci avrei creduto.

Negli scorsi anni ho definito santo Mario Draghi per la sua coraggiosa e determinata politica monetaria attuata da presidente della Bce. Draghi stesso però ha sempre detto che a politica monetaria da sola non sarebbe bastata. Occorreva affiancargli una politica di bilancio europea. Ecco perché, oggi, penso che la Provvidenza abbia voluto che questo fosse il semestre europeo a presidenza tedesca e mi sento di definire santa Angela Merkel per come ha convinto tutta l’Unione ad affiancare ai 1350 miliardi di acquisti di titoli di Stato della Bce altri 1290 miliardi di risorse di bilancio europee. Certo molti altri hanno contribuito al risultato, ma senza la Germania e la signora Merkel non saremmo andati da nessuna parte. Commissione e Consiglio Europeo hanno messo in campo 540 miliardi di euro con il Mes per la sanità, gli investimenti Bei ed il Fondo per la Disoccupazione.

Altri 750 miliardi (390 a fondo perduto e 310 di prestiti) sono stati decisi ieri con il Recovery Fund. Di questi fondi europei all’Italia potrebbero arrivare circa 280 miliardi: 70 da Mes, Bei e Fondo Disoccupazione e 209 dal Recovery Fund.

L’Italia con il decreto Cura Italia e con il decreto Rilancio ha messo in campo 80 miliardi di maggiore deficit e debito, meno di un terzo delle risorse europee potenzialmente disponibili.

Qui va però chiarito un serio problema di tempi. Infatti i 70 miliardi di Mes-Bei-Fondo Disoccupazione sono disponibili subito mentre i 209 miliardi del Recovery Fund saranno operativi nel 2021.

Ad oggi le prospettive economiche e sociali del nostro Paese indicano un autunno terribile e un 2021 a rischio di tempesta perfetta.
Ecco allora che dobbiamo rapidamente costruire un ponte per arrivare in condizioni meno tragiche al 2021. Utilizzare subito i fondi del Mes della Bei e del fondo disoccupazione devono allora essere quel ponte di autunno. Il Recovery Fund potrà così essere il propulsore della ripresa produttiva ed occupazionale dal 2021 in poi.

Il lungo e faticoso Consiglio Europeo sul Recovery Fund partiva dalla proposta della Commissione e doveva sostanzialmente sciogliere tre nodi.

1. La quantità delle risorse e la loro ripartizione tra fondi perduti e prestiti.
2. Quale istituzione avrebbe deciso l’assegnazione delle risorse ai singoli Stati e le condizioni da rispettare.
3.- Quale istituzione avrebbe dovuto avere il controllo in corso d’opera (freno di emergenza, secondo l’olandese Rutte) delle riforme e degli investimenti concordati nelle fasi di stato di avanzamento dei lavori.

I 27 Paesi hanno deciso che:

a) la quantità totale delle risorse è quella proposta dalla Commissione in 750 miliardi di euro. La loro ripartizione è un po’ cambiata con meno fondi perduti e più prestiti. Certamente i prestiti si devono restituire ed i fondi perduti no. Sta di fatto però che un prestito a tasso quasi zero e con scadenze pluridecennali non è un fondo perduto ma… non gli è così lontano.
b) L’assegnazione dei fondi spetta alla Commissione.
c) Il controllo a stato d’avanzamento lavori spetta anch’esso alla Commissione.

Ciò detto, è vero che la Commissione dovrà riferirsi al Consiglio europeo che però dovrà decidere a maggioranza qualificata ed è anche vero che un singolo Stato potrà sollevare una riserva ma non potrà attivare da solo il freno a mano e quindi non avrà diritto di veto.

Ecco perché il 21 luglio 2020 è per l’Unione Europea una data storica, un piccolo-grande passo verso una Europa federale. Certo, ne occorreranno molti altri per lasciarsi dietro l’Europa intergovernativa che abbiamo avuto finora, però… la storia ha cominciato a muoversi.

Per altro non dobbiamo mai dimenticare che circa 160 anni fa gli Stati Uniti d’America combatterono una lunga e sanguinosa guerra civile che durò oltre quattro anni (dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865) per cominciare a diventare Federazione dalla precedente Confederazione.

Ma cosa deve fare l’Italia per avere i fondi europei? Cioè quale deve essere il “ponte” di questo autunno ed il “motore” della ripresa dal 2021 in poi?

L’Italia potrà avere le risorse europee solo a fronte di riforme strutturali e concreti piani di investimento. Fare le riforme però non significa convocare “Stati generali” e scrivere la “lista della spesa” chiamandolo Pnr. Significa scegliere cinque temi, fare cinque progetti, presentarli al Parlamento e approvare tutto in tempi rapidi e con una solida maggioranza. Questo significa presentare sul serio il Piano Nazionale di Riforme.

La “madre” di tutte le riforme è la prossima legge di Bilancio per il 2021 che dovrà poggiare su una profonda ristrutturazione delle spese e delle entrate pubbliche. Tagli agli sprechi, malversazioni, ruberie, agevolazioni fiscali corporative ed a pioggia e lotta all’evasione dovranno fornire le risorse per una riforma fiscale strutturale che sgravi famiglie ed imprese per almeno 60 miliardi di euro.

Se introducessimo una Irpef con una no-tax area sotto i 20mila euro e tre aliquote, al 20% da 20 a 50mila euro, al 30% tra 50 e 100mila euro ed al 43% sopra i 100mila euro, si avrebbe un “abbassamento delle tasse” di circa 40 miliardi di euro. Questi sgravi però andrebbero per l’80% ai redditi medio bassi inferiori ai 55mila euro. Contrariamente a quella attuale, questa Irpef sarebbe progressiva e rispetterebbe il dettato costituzionale.

Per la copertura finanziaria basterebbe tagliare 40 miliardi, cioè la metà delle attuali Tax Expenditure a pioggia. Purtroppo negli ultimi decreti la pioggia di deduzioni e detrazioni di imposte (vedi biciclette elettriche e monopattini) è diventata un diluvio di goccioline piccole, piccole.

Alla riforma Irpef si deve poi affiancare l’azzeramento dell’Irap o la riduzione del cuneo fiscale-contributivo per le imprese per 20 miliardi, compensandola con una pari riduzione degli oltre 50 miliardi di fondi perduti che ogni anno, da oltre trenta anni, eroghiamo a pioggia in conto capitale ed in conto corrente.

Avremmo così una riforma fiscale strutturale, permanente, credibile e soprattutto finanziata con soldi nostri senza la ridicola idea di abbassare le tasse in Italia con i soldi dell’Europa.

Poi si affiancano cinque riforme strutturali con i soldi per realizzarle: sanità (più medici, più infermieri, più presidi territoriali e meno ruberie negli acquisti e nelle forniture), giustizia civile e penale (al centro riforma del Csm e separazione delle carriere), Pubblica amministrazione (autocertificazioni e silenzio-assenso in tempi brevi ed automatici), scuola-università (messa a norma di tutti gli edifici scolastici e assunzioni e carriere per meriti verificabili sul campo), piano per il riassetto idrogeologico e le infrastrutture (ferroviarie, stradali, portuali, aereoportuali che unifichi nord/sud-est/ovest e faccia dell’Italia intera la vera piattaforma naturale al centro del Mediterraneo), ricerca ed innovazione tecnologica con al centro la riconversione ambientale.

Su ciascuna riforma si mettono 10 miliardi all’anno per cinque anni per un totale di 250 miliardi, totalmente finanziabili con fondi europei. Con questo in tre anni avremmo una ripresa strutturale della crescita tra il 2 ed il 3%, occupazione in aumento e disoccupazione in forte riduzione, conti pubblici in ordine e debito sostenibile.

Con questo potremmo confermare di essere Stato ri-fondatore dell’Europa senza fermarci ai ricordi lontani di essere stati sessanta anni fa tra gli Stati fondatori.

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