Se ne parlava da anni, ma adesso il principio di solidarietà e sussidiarietà è diventato realtà. Ne è convinto Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro e delle politiche sociali sotto il governo Letta tra il 2013 e il 2014, già presidente dell’Istat (dal 2009 al 2013) e ancora prima responsabile della direzione statistica dell’Ocse, che in questa intervista a Formiche.net non esita a definire “storico” l’accordo appena raggiunto a Bruxelles.
Perché si spinge così avanti?
Lo definisco storico perché crea strumenti di cui si discuteva da tanti anni, ovvero la possibilità che l’Unione Europea si indebitasse per sostenere una serie di progetti comuni nei Paesi membri. Possiamo chiamarli eurobond o altro, ma l’aspetto più importante è che sia passato il principio. In più, l’accordo mette in moto un’enorme massa finanziaria e rispetta le priorità fissate durante questo anno dalla Commissione Europea: che vuol dire digitalizzazione, Green new deal, lotta alle disuguaglianze e crescita economica.
Si torna a casa con meno sussidi e con il rischio di dover attivare il Mes…
Tutta l’attenzione è stata concentrata sul cosiddetto “Recovery fund”, che in realtà si chiama “Next Genereration Eu”, che rappresenta un’iniziativa senza precedenti che si aggiunge ai 100 miliardi per lo strumento Sure e quelli relativi al Mes. In più c’è il bilancio Ue per i prossimi sette anni, che mette a disposizione ulteriori fondi. Parliamo di una dote finanziaria senza precedenti nella storia dell’Europa. Al di là delle discussioni sullo strumento da usare, io ad esempio sono a favore dell’utilizzo del Mes, è straordinariamente urgente ora definire cosa fare con questi fondi perché alcuni arriveranno a metà del 2021, mentre il Mes sarebbe disponibile immediatamente.
L’Europa come si è dimostrata? Il progetto europeo è ancora valido?
Non sorprende che ci sia stata un’ampia discussione: se guardiamo ai precedenti, in termini di durata della riunione del Consiglio dobbiamo risalire al Trattato di Nizza, e ciò ci fa capire l’importanza di questi negoziati a Bruxelles. È chiaro che si sono dovute bilanciare le singole richieste degli Stati membri, ma il risultato è stato positivo sia per i Paesi frugali che per quelli più in difficoltà per l’emergenza del coronavirus, come Italia e Spagna. Quindi il progetto europeo è certamente valido, anzi ne esce rafforzato.
L’attenzione di tutti adesso è focalizzata sul come spendere e su cosa investire. Quale è la sua ricetta che consiglia al governo?
Sono tre mesi che la Commissione europea ha indicato per cosa dovrebbero essere usati questi fondi, peccato che l’Italia nel frattempo ha parlato di tutt’altro. Parlo delle Country Specific Recommendations elaborate all’interno del processo del Semestre europeo: digitalizzazione, innovazione e formazione, riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile, Green new deal e lotta alle disuguaglianze oltre che il miglioramento del sistema sanitario. Chi pensa che questi fondi potranno essere usati per altro avrà l’onere della prova.
A cosa si riferisce?
Se pensiamo, ad esempio, di costruire un ponte su cui passano soltanto le automobili e non un treno merci (magari ad alta velocità) così da ridurre la quantità di tir sulle strade potremmo avere un problema con la Commissione, visto che non sarebbe un progetto in linea con la decarbonizzazione del Continente e con il Green new deal. Immagino poi che la Commissione ci domanderà come è possibile che l’Italia finanzi con quasi 20 miliardi l’anno attività legate alle energie fossili. L’orientamento al Green new deal adesso è un prerequisito, non più solo un elemento di punteggio, per l’approvazione dei progetti. Quello che abbiamo indicato come linee di indirizzo il 5 maggio come Alleanza Italiana dello Sviluppo Sostenibile e poi, all’inizio di giugno, come comitato Colao, sono perfettamente in linea con l’accordo raggiunto e le Raccomandazioni della Commissione.
E rispetto all’Agenda delle Nazioni Unite 2030 questo piano di sostegno potrebbe favorire il raggiungimento di molti goal?
Certamente sì, anche perché come Paese siamo ancora molto indietro. Il percorso dello sviluppo sostenibile oggi è più che mai obbligato e non si può tornare indietro. La buona notizia è che, dopo averla scelto l’anno scorso l’Agenda 2030 come architrave delle politiche europee, tale impostazione è stata confermata anche prospettiva strategica del Next Generation Fund.