Dai tre giorni di trattative al Consiglio europeo passa il futuro dell’Unione europea. Non soltanto per quanto riguarda l’aspetto economico legato alla ripresa post coronavirus, ma anche per le ripercussioni politiche delle tensioni tra i Paesi del Nord e quelli del Sud. Come usciranno dalla pandemia e da questi muro contro muro i 27? Formiche.net ne ha parlato con Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia.
Salini, Forza Italia ha espresso sostegno al premier Conte. Prove tecniche di governo Ursula nel nostro Paese?
Noi non sosteniamo il governo Conte, sosteniamo il nostro Paese in un momento così complesso e di fronte a un’aggressione inaccettabile che giunge da parte di Paesi minori e che, in un contesto normale e geopoliticamente razionale, non dovrebbe essere minimamente immaginabile.
Anche se, secondo molti, l’Italia non si è presentata a questo Consiglio europeo con tutti i compiti fatti?
Non possiamo non sostenere il nostro Paese in una fase come questa. Ma Forza Italia continua a dire che l’Italia non abbia minimamente segnalato la capacità di reazione messa in mostra invece da altri Paesi. Anzi, sul versante strettamente economico ha fatto molti passi indietro, ha deciso di ritornare all’illusione della presenza dello Stato nell’economia come soluzione della crisi.
Al centro del dibattito europeo ci sono le riforme. Qual è il suo giudizio?
L’Italia avrebbe uno strumento molto semplice per evitare che ci impongano dall’esterno le riforme: fare le riforme. Qui destra e sinistra devono fare entrambe mea culpa. Ma pur criticando gli interventi di carattere economico — stendiamo un velo pietoso sulla nuova stagione delle partecipazioni statali a opera del Paese più indebitato d’Europa, mi chiedo dove trovino i soldi per questo ingresso di gran carriera nella vita economica del Paese — e l’ennesima occasione persa per liberalizzazioni e sburocratizzazioni che aveva cercato di definire con il modello Genova, non possiamo negare solidarietà al presidente del Consiglio italiano quando il premier del più inaccettabile paradiso fiscale d’Europa cerca di spiegarci come dovremmo costruire la nostra politica di bilancio.
Eccoci a Mark Rutte. Ma è davvero il premier olandese è l’unico a fare resistenze?
Non credo al disegno evocato da alcuni secondo cui Rutte sarebbe il braccio armato di una silente Germania che si avvarrebbe dei Paesi frugali per attaccare il Sud dell’Europa, in particolare l’Italia. Berlino avrebbe tutto da perdere dall’indebolimento dell’Italia visti i rapporti tra le catene di valore dei due Paesi. L’Olanda in questo momento ha un’evidente problema di politica interna legato all’imminente campagna elettorale e mi auguro che non abbia interessi extraeuropei che la inducano a condurre una battaglia che la stampa italiana sta giustamente paragonando a quella fatta due anni e mezzo fa dal Regno Unito.
Come finirà?
Sono quasi certo che questa fuga in avanti dell’Olanda si concluderà. Non vedo nulla se non una sorta di orgoglioso tentativo di aumentare i consensi da parte di Rutte. Però mi colpiscono da una parte l’assenza di una costituzione europea e dall’altra la fragilità della leadership europea, in particolare da parte della Germania: qualche decennio fa una fuga in avanti del genere — che ci sono sempre — non sarebbe stata concessa.
L’Italia può contare su una sponda inaspettata e forse un po’ imbarazzante per il governo giallorosso, quella del premier ungherese Viktor Orbán. A salvarci sarà il sovranista europeo per eccellenza?
Un grande furbacchione. Cascherà in piedi perché è un uomo di una furbizia politica smisurata. Fa quello che deve fare un Paese come l’Ungheria: sostiene un’economia fortemente manifatturiera come quella Italia, si oppone al finto europeismo ordoliberista di Paesi come l’Olanda. Ma non andrei oltre la furbizia nel descrivere l’atteggiamento di questo interessantissimo leader europeo che non smetterà mai di stupirci per la sua capacità di cogliere l’attimo.
Dopo questo Consiglio, l’Unione europea dovrebbe ripensare i suoi meccanismi?
L’Unione europea è già impegnata in questo ripensamento. Basti pensare che il principale punto d’incastro di questa discussione non è tanto l’entità del Recovery Fund quanto la governance: è la dimostrazione che sono le regole di funzionamento dell’Unione che oggi non tengono.
Da dove partire però?
La sfida sarà quella di una riforma corposa dei trattati e il primo punto di sfida è costituto dalla partita fiscale: è possibile oggi reggere un’Unione in cui 19 Paesi su 27 hanno scelto una moneta unica ma sussistono ancora 27 sistemi fiscali radicalmente diversi l’uno dell’altro? Quella che avevamo ritenuto all’inizio una sana concorrenza fiscale si è trasformata in una giungla in cui i Paesi membri si fanno la guerra gli uni contro gli altri armati per rubarsi pezzi di valore erodendo la competitività dell’Unione nel suo complesso. Questa è la prima modifica dei trattati alla quale potrebbe seguire poi una serie di modifiche nella direzione della comunità che noi tutti auspichiamo.