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Salvini, Open Arms e la resa dei conti al Senato. Il punto di Vespa

Il 1° e il 2 agosto 2019 c’erano un altro mondo e un’altra Italia quando la nave Open Arms, battente bandiera spagnola, intervenne in due distinti naufragi portando a bordo 124 persone, poi diventate 163 per un altro salvataggio e diminuite dopo alcuni sbarchi per motivi umanitari. Un anno fa non c’era la pandemia e in Italia c’era il primo governo Conte con Matteo Salvini ministro dell’Interno. Domani, giovedì, l’Aula del Senato voterà invece sulla richiesta di autorizzazione a procedere del Tribunale dei ministri di Palermo nei confronti di Salvini accusato di sequestro di persona aggravato, reiterazione del reato e omissione di atti d’ufficio: il Covid-19 sta devastando il pianeta affossando l’economia e influendo anche sui flussi migratori, al governo c’è un altro governo Conte e il leader leghista corre il rischio di subire un secondo processo dopo quello già fissato ad ottobre per il caso della nave Gregoretti della Guardia costiera.

LE DIFFERENZE TRA GREGORETTI E OPEN ARMS 

C’è una differenza di fondo tra Gregoretti e Open Arms. Nel primo caso Salvini dovrà rispondere di sequestro di persona aggravato: il voto del 12 febbraio con il quale il Senato concesse l’autorizzazione a procedere concludeva un iter nato quando Salvini era al governo con il Movimento 5 Stelle che, però, nel frattempo da amico era diventato nemico. Pur essendo tutti d’accordo al momento dei fatti, in aula andò a farsi benedire “l’unitarietà dell’indirizzo politico” dell’esecutivo, cioè la condivisione della decisione del ministro dell’Interno di impedire per diversi giorni lo sbarco di migranti: nel dibattito lo scontro fu durissimo.

Fin dall’inizio, invece, era chiaro che la vicenda Open Arms fosse diversa: cominciata quando era in carica il Conte I, finì dopo Ferragosto e quindi dopo la crisi aperta da Salvini l’8 agosto: scambi di dure lettere tra ministro dell’Interno e presidente del Consiglio, un decreto del Tar che il 14 agosto imponeva l’ingresso della nave nelle acque italiane per prestare “l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli”, lo sbarco dei minori disposto da Salvini “suo malgrado” su pressione di Palazzo Chigi, ispezioni sanitarie a bordo e infine il sequestro della nave deciso dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, il 20 agosto.

IL GOVERNO DIVISO

In base alla cronaca di quei giorni sembra difficile sostenere che nel governo fossero tutti d’accordo, anche se il centrodestra ha continuato a negare “l’esclusiva riferibilità al ministro dell’Interno”. Il presidente della Giunta per le autorizzazioni del Senato, Maurizio Gasparri (FI), ha insistito su questo punto e nella relazione scrisse che se il presidente Giuseppe Conte “avesse voluto assumere un indirizzo idoneo a separare l’azione promossa dal ministro Salvini dall’azione del Governo anche per i migranti adulti, avrebbe dovuto, nella lettera del 16 agosto 2019, ordinare lo sbarco immediato di tutti gli immigrati presenti a bordo e non quindi dei soli minorenni. Tale distinguo rende anzi evidente per facta concludentia una condivisione implicita di quest’ultimo delle azioni poste in essere dal ministro Salvini in ordine ai migranti maggiorenni”.

IL NO DI TRENTA E TONINELLI

A fronte della richiesta del Tribunale dei ministri di Palermo, il 26 maggio la Giunta approvò la relazione Gasparri contro l’autorizzazione a procedere con 13 voti: 5 della Lega, 4 di Forza Italia, quello di Fratelli d’Italia, quello delle Autonomie, il voto di Alessandra Riccardi (M5S) in dissenso dal gruppo e quello dell’ex M5S Michele Giarrusso. Ininfluenti le tre astensioni di Italia viva le cui scelte adesso potrebbero essere decisive in Aula. Un’ulteriore conferma che non ci fu (dopo l’apertura della crisi) una decisione condivisa arrivò dai ministri Elisabetta Trenta (Difesa) e Danilo Toninelli (Infrastrutture e trasporti) che, dopo aver cofirmato il primo divieto di ingresso deciso da Salvini, rifiutarono di firmare il secondo rendendo inapplicabile quello voluto dal leader leghista il giorno di Ferragosto perché il decreto sicurezza bis impone le tre firme. Nella memoria difensiva presentata il 17 febbraio alla Giunta per le autorizzazioni Salvini parlò di “scelte politiche effettuate dall’intera compagine governativa” e che l’interesse pubblico era di “limpida e cristallina evidenza”. Oggi ribadisce di aver “agito a difesa del mio Paese e quello che ho fatto l’ho fatto in compagnia del premier Conte, ho fatto quello che c’era nel programma di governo”.

LA CONFUSIONE POLITICA

La cronaca lascerà lo spazio alle valutazioni politiche. Quei parlamentari che, come nel caso Diciotti, votarono a favore di Salvini proprio basandosi sulla scelta dell’intero governo stavolta forse avranno qualche dubbio e si sa che molto dipenderà dal discorso di Matteo Renzi. Tra voti a favore, voti contrari, astensioni e uscite dall’aula le soluzioni sono diverse, ma un eventuale secondo processo sarebbe un peso non indifferente per il leader leghista.

Il dibattito in aula su Salvini si dipanerà mentre cresce la confusione non solo per gli sbarchi, ma soprattutto per l’assenza di una linea politica sull’immigrazione. Non sono sufficienti gli incontri in Libia e Tunisia del ministro Luciana Lamorgese se non ha le spalle coperte da un’azione diplomatica in quell’area e in Europa. Marco Minniti in un’intervista alla Stampa ha rilanciato i temi dei corridoi legali, della produzione di petrolio che impoverisce la Libia creando effetti a cascata e della necessità di un cambio di passo dell’Unione europea. Ed è sicuramente un caso, ma Nicola Zingaretti a Skytg24 non è andato molto lontano da quella posizione: tornare in Libia, starci di più proprio quando c’è la violazione dei diritti umani, coinvolgere Onu e Ue per avere flussi regolari di immigrazione, rivedere il memorandum con la Libia. Non è che vogliamo passare ai fatti?


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